Simone de Beauvoir |
Il 14 aprile 1986, Simone de Beauvoir, una delle figure più importanti del
femminismo del primo Novecento, moriva a Parigi. A 33 anni di distanza, penso
sia importante ricordarla per una serie di ragioni. La sua opera Il secondo sesso (1949) è stata infatti criticata
duramente dal femminismo di seconda ondata (anni 60-70 per intenderci) in
quanto, a suo dire, basata su stereotipi patriarcali. Il fraintendimento è secondo
me lampante: lungi dell’essere una prescrizione di ciò che significhi essere
donne e uomini nella società del suo tempo, quel libro voleva essere piuttosto
una descrizione di come si interfaccino alla realtà i soggetti caratterizzati
dall’appartenenza al “secondo sesso”. De Beauvoir riteneva, com’è risaputo, che
“donne non si nasce, si diventa”: il genere non è qualcosa di biologico o
anatomico, è un costrutto socio-culturale che condiziona il nostro stare mondo.
Il suo contributo al dibattito sulla soggettività e sull’essere mi pare
ancora fondamentale oggi: come possiamo parlare di “esserci” (Heidegger) o di “per-sé”
(Sartre) senza avanzare considerazioni sul genere del soggetto? Cosa significa
essere un soggetto privo di genere? Secondo de Beauvoir, significa essere un
soggetto maschio; alla donna non sono permesse le stesse attività concesse al
soggetto universale (leggi “uomo”). E la storia della considerazione concessa a
de Beauvoir prova proprio questo. Ancora oggi nei manuali di filosofia, non
solo del liceo, ma anche quelli consigliati all’università, le donne non
trovano posto. Non perché non ci siano mai state filosofe donne, ma perché il
loro operato viene visto come marginale, come se non contribuissero realmente
ai dibattiti della “vera” filosofia (leggi “maschile”). Non importa che de
Beauvoir, nonostante non si considerasse una “vera filosofa”, probabilmente per
un senso di inferiorità inculcatole dalla società patriarcale, avesse di fatto
allargato gli orizzonti dei filosofi del suo tempo. Ricordiamo, per esempio,
che fu in grado di scrivere il trattato di filosofia morale che Sartre non fu
mai in grado di scrivere ma solo abbozzare. Ricordiamo soprattutto che quando
ci interroghiamo su un soggetto che “esiste”, che costruisce la sua identità
attraverso le scelte che opera all’interno di una determinata realtà, non
considerare il genere come “fatticità”, come parte del condizionamento del soggetto, è sinonimo
di privilegio. Perché se non vedi il tuo genere come rilevante, significa che
questo non determina il tuo agire nel mondo in modo sostanziale – e questo per
una donna negli anni ’50 non poteva essere vero (come non può esserlo oggi).
Il femminismo di seconda ondata, volto a rivoluzionare la concezione della
donna e del genere in una società in rapido cambiamento, vide Il secondo sesso con occhio torvio, perché
in quel libro, a detta loro, venivano perpetuati stereotipi patriarcali di “immanenza”
e “trascendenza”. Attraverso questi termini, de Beauvoir mette in luce la
differenza presente tra l’agire dell’uomo e quello della donna. Nel primo caso,
troviamo azioni rese possibili da un soggetto sovrano del proprio avvenire, che
gode di privilegi in una società modellata su di lui. Il soggetto maschio è in
grado di dare forma alla sua esistenza, di essere libero e responsabile delle
sue azioni, di “trascendere”, appunto, qualsiasi forma di determinismo socio-culturale.
“L’uomo”, dice Sartre, “è condannato a essere libero”. De Beauvoir fa notare,
in primo luogo, che nel linguaggio patriarcale “uomo” non significa
semplicemente “essere umano” (l'homo latino, il Mann tedesco), ma anche – e,
in questo contesto, soprattutto – “essere umano maschile” (il vir latino, il Mensch tedesco). Le teorie di Heidegger e Sartre, nel tentativo di essere universali,
scadono in una visione necessariamente ristretta dell’essere umano. De Beauvoir,
dal canto suo, sostiene che, contrariamente al soggetto maschile, quello
femminile, in una società patriarcale, si configuri come Altro, come
inessenziale, come “immanenza”, in quanto non le è concesso di trascendere la
sua fatticità. Il suo agire nel mondo molte volte scade in una serie di “funzioni”,
come la procreazione della specie o la perpetuazione dell’uguale nella sfera
domestica (leggi “pulizie e faccende domestiche”). Il suo avvenire viene guidato
dalla sfera sociale, culturale, e politica di cui fa necessariamente parte ma
che molto spesso non può trascendere.
Questo discorso è rinforzato da un simbolismo che si manifesta, secondo de
Beauvoir, anche nella sfera sessuale e nella crescita di bambini e bambine. Le donne
spesso non possono, nella società del suo tempo, esercitare controllo sui loro
corpi, complici la pessima informazione sul funzionamento del corpo femminile, lo
stigma dell’aborto (che in molti paesi ai tempi era ancora illegale) e del
sesso al di fuori del matrimonio (concetto per fortuna ormai démodé per noi del
ventunesimo secolo); finiscono pertanto per vivere il mestruo come un’attività
su cui non hanno per niente il controllo, vedendosi “aliene”, estranee, alla
loro stessa anatomia, e sono obbligate dalla società patriarcale a vedere un
atto sessuale come qualcosa che si riceve piuttosto che si dà liberamente. L’uomo
“entra” nella donna, la donna lo “riceve” passivamente. L’atto sessuale per
loro viene relegato al rango di “funzione” procreativa, il che le subordina
alla specie e alla sua perpetuazione piuttosto di configurarle come soggetto.
Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre a Pechino nel 1955 |
Tutto questo discorso, come si diceva sopra, descrive la società
patriarcale, ma non intende in alcun modo prescrivere regole di condotta
universali per le donne. L’errore del femminismo di seconda ondata, a mio
avviso, è stato quello di vedere Il
secondo sesso come un monito, un invito a essere donne in questo o quel
modo, un incoraggiamento a vedersi come Altro che “riceve” l’attività dell’uomo
e perpetua gli interessi della specie. Nel descrivere questa realtà
socio-culturale, de Beauvoir intendeva gettare luce sulle sue incongruenze,
sugli stereotipi e sul simbolismo che portava avanti; la sua era una critica
caustica tramite un apparato bibliografico degno di nota. Vederla come una donna
“mascolina”, che perpetua gli interessi del “primo sesso”, psicanalizzarla come
una donna fissata con la figura dell’uomo forte (aveva un padre che stimava
profondamente), che si sente tale e che condanna apertamente le donne per la
loro passività, è secondo me un’opinione fin troppo diffusa che andrebbe
contrastata. Certo, de Beauvoir non vedeva le donne solamente come vittime di
un sistema patriarcale, ma anche come complici: ai suoi tempi erano infatti le
madri che crescevano le bambine e inculcavano loro l’idea della femminilità –
che in de Beauvoir è sinonimo di mutilazione in quanto priva un soggetto della
sua trascendenza. Così le bambine venivano tenute in casa a cucinare con le
madri e a fare le moine, mentre i maschietti venivano lasciati fuori a giocare e
confrontarsi con la natura. Per le une i vestitini, i cerchietti e il rosa, per
gli altri l’arrampicarsi sugli alberi, lo sporcarsi nella terra e l’azzurro. Questa
idea di educazione dei figli e delle figlie è secondo de Beauvoir da condannare apertamente;
lei auspica invece che essa venga affidata meno ai genitori e più a una
società che è cosciente delle sfide che il genere pone specialmente ai soggetti
vulnerabili (ossia bambini e bambine), e nello specifico a quelli femminili.
È per questa serie di ragioni che ritengo sia fondamentale considerare
ancora oggi la figura di Simone de Beauvoir come una filosofa che ha ampliato
gli orizzonti maschilisti dei suoi contemporanei e che ha criticato aspramente
non solo la società patriarcale, ma anche i soggetti che non si riappropriano
del loro avvenire, specialmente se donne. In quanto vittime di un sistema così
metodico nell’oppressione e nella sua perpetuazione, hanno una responsabilità
maggiore verso le loro scelte. In un tempo in cui si combatte per la famiglia
tradizionale e eteronormativa che perpetua ideali quali l’oppressione della
donna, la gravidanza forzata, la spietata biopolitica mediata dai corpi delle
donne, ricordare le grandi figure di filosofe e femministe non può che farci
bene. Strappiamo la storia dal controllo patriarcale e illuminiamo, attraverso
il genere, gli angoli più bui in cui son state relegate le grandi figure
femminili del passato. Ci aspetta un mondo da (ri)scoprire.