venerdì 1 maggio 2015

Il fabbro


Dato che son tornato ad avere un minimo di tempo libero, sono riuscito a scrivere un altro pezzo qualche sera fa, che qui ripropongo. Si tratta di un monologo piuttosto breve (due pagine in Word), chiaramente con un messaggio. Come sempre, rimango aperto a pareri altrui, soprattutto perché in questo caso vorrei capire se questo messaggio arrivi o meno, quindi sentitevi liberi di leggere, commentare, criticare, e tutto ciò che ci sta in mezzo. Ogni sforzo è apprezzato.





Eccomi qui. In questa stanza, in questa prigione. Un uccello in gabbia. Cosa si può fare in una stanza da soli tutto il tempo? Quanto sono in grado di tollerare la mia stessa presenza? La mia triste compagnia? Nessuno sguardo altrui, nessuna voce diversa dalla mia; se non mi muovo, se non parlo, se non fiato, il silenzio. Sono bloccato qua dentro da soli cinque minuti e già vorrei andarmene, uscire, farmi accarezzare dalla fresca aria della mattina, quella stessa che d’inverno ti sveglia come uno schiaffo tagliente e che ti convince che devi essere produttivo, devi andare là fuori e conquistare le masse, convincerle a comprare prodotti non tuoi ma che in qualche modo rappresenti. È così comodo lasciarsi trascinare qua e là da degli oggetti. Gli stessi oggetti che portano il pane in tavola ogni giorno, certo, a volte mi lasciano senza un soldo per giorni, però poi tornano, è quello l’importante in fondo. Tornano. Mi riabbracciano, mi danno una pacca sulla schiena, mi sussurrano qualcosa di accattivante ma distaccato nell’orecchio, due pacche solide, rapide, sprezzanti, e io sono pronto per ripartire. “Verso nuove mete!” Che slogan infame. Io torno a crederci ogni volta, proprio come i miei clienti. Pensano di ricavare davvero qualcosa di nuovo da ciò che vendo loro. Nemmeno l’ombra del dubbio, i loro occhi brillano di trepidazione non appena sentono qualche termine tecnologico, qualcosa di inaccurato, di poco adatto alle loro esigenze, ma che tuttavia in qualche modo sa vincere i loro sensi e il loro raziocinio. Niente di più facile. Un sorriso, una facciata bianca ma radiante, e il gioco è fatto. Perché questo in fondo è, un gioco. È più difficile convincere un cane a mollare il suo gioco. Almeno loro esitano un attimo prima di mollarlo per un altro, cercano di restare fedeli a loro stessi. Noi no. Ci riempiamo di estasi, di gioia, vogliamo subito il nuovo oggetto più luccicante, più tecnologico, più costoso. Il top della gamma. Questo lavoro mi distrugge. Ogni mattina mi sveglio e ridipingo una facciata decrepita, malcurata, riempio tutte le sue crepe, una passata di pittura bianca e sono pronto per ricominciare. Tutto come nuovo. Ogni sofferenza trascurata, ogni pensiero accantonato, ogni finto sorriso pronto ad essere agilmente estratto dalla manica del mio abito di prima qualità. E ora mi ritrovo qua, pronto ad esibire la mia finzione al mondo, ma impossibilitato a farlo perché chiuso in questa maledettissima stanza disadorna e miserabile. Dovrei trovare un modo di coprire la muffa in bagno e in cucina. Sono ragnatele quelle? Anche la crepa sul soffitto della camera andrebbe sistemata. Ogni volta che mi sdraio nel letto spossato dalla giornata di lavoro mi tocca osservarla, una voragine che minaccia di crollare. Ogni notte la prego di rimanere dov’è, di non deteriorare; ogni mattina la ritrovo lì non appena apro i miei occhi. Non si riargina, resta dov’è. Aspetta, pazientemente, che io abbia il tempo di occuparmi di lei. Ma io sono troppo stanco e non appena tocco il letto crollo in sogni più grandi di me. Vedo la mia carriera, una lunga scalinata verso il cielo, di quel marmo bianco che promette felicità con la sua levigatezza. Poi mi sveglio e vedo questo triste trilocale in una periferia cupa ed inquinata. Divano di terza mano, sedie e tavolo di quarta segata. Tutto ciò per poter mantenere un corpo in piedi, per poterlo sospingere un po’ più in là verso l’inevitabile deterioramento, per poter tardare ancora un po’ il momento del giudizio. Una maschera vicino alla porta, pronta ad essere indossata. Era ben ancorata al mio viso, ma poi quella stramaledetta serratura ha deciso di bloccarsi. Sento di non potermi più fidare degli oggetti. Come se stessi facendo loro un torto a svenderli a chiunque sia pronto a scambiarli per dei miseri quattrini. È così che mi ripagano, distruggendo la fiducia reciproca. Che cos’è il mio mondo senza un briciolo di fiducia? In cosa devo credere io? In Dio? Nella volta celeste? In qualcosa molto più grande di me e del mio tempo? Sono solo un uomo, un rappresentante, un venditore che cerca di campare un altro po’. Chiedo solo un po’ di clemenza. Vorrei una vita tollerabile, ma mi accontento di un’esistenza spossante che mi privi del tempo per pensare. Voglio solo rincasare con qualche soldo in tasca e con la consapevolezza che riuscirò a mettere qualcosa nello stomaco anche stasera. Non ho altro. Non cerco altro. Questa è la mia vita, a ciò rivolgo i miei pensieri, quando posso. Non alle crepe nel soffitto, non alla muffa negli angoli, non alle ragnatele, e nemmeno al mobilio povero e freddo di questo appartamento. Tutto ciò che conta è avere un sorriso stampato in faccia quando si esce, quando si va là fuori a vendere sé stessi; bisogna mantenere il giardino curato, le siepi potate periodicamente, bisogna salutare il vicino quando lo si incontra, bisogna sorridere al sole, alle nuvole, alla pioggia e alla grandine. Non è importante cosa si annida negli angoli più bui della propria casa, perché a casa siamo qualcun altro e a nessuno interessa chi siamo. Nessuno vuole davvero sapere quali pensieri affollino la tua povera mente consunta. Indossa la tua logora maschera, la tua sofferenza non mi interessa e non mi tocca! Stringi i denti in un sorriso, trattieni il sudore e continua a marciare! Sii felice, ridi più spesso! Cos’è quel muso lungo? Suvvia, la vita è una sola! Non abbiamo tutto questo tempo, goditela! Che spasso la gente. Ridipingono la facciata ogni giorno con pennellate rapide, si aggiustano il trucco e il parrucco, poi vanno là fuori a recitare la loro parte. La vita è un palcoscenico! Ma quale Amleto, fammi un po’ quell’imitazione che mi piace tanto! Ricicla qualche battuta dell’ultimo comico della tivvù, fammi sentire un po’ come te la cavi con il dialetto! Bravo, bravo, ora rotolati un po’ per terra, ecco, così, bravo! Oh tu sì che sai come farmi passare bene il tempo!
Ho sentito un rumore. Sarà il fabbro? Son già passati dieci minuti da quando l’ho chiamato, aveva detto che sarebbe passato subito. Ancora niente. Non ho mica tempo da perdere io. Devo lavorare, uscire, sbrigare cose, incontrare persone! Devo vedere quel cliente a cui piacciono tanto le cose luccicanti. Povera testolina, i suoi neuroni si sono fermati prima dei modi di dire. Com’è che era? Non è tutto oro...? Ah già, sì, sì. Era proprio così. Servirà che io ripassi un po’ qualche frase di circostanza, non posso farmi trovare impreparato sul momento! Che razza di venditore sarei mai se non sapessi dire qualcosa di appropriato per scatenare l’ilarità vuota e circostanziale dei rapporti commerciali? Ma quali rapporti commerciali, io costruisco rapporti umani! È così che si vende! Come sta suo figlio, avvocato? Sta ancora con quella splendida ragazza? Ah, bene, bene! Ci infili qualche parola altisonante e sono tuoi, come quando mangi il salame e il cane ti fissa stralunato. Sì, è proprio quello che piace tanto a te! Quello con quel sapore tanto buono, sì, quello lì, ecco, bravo, fai muovere un po’ la coda, ma come sei carino, dai una fetta te la sei meritata! E poi lo osservi mentre mastica in modo convulso, maldestro, animalesco. Però in fondo ti piace e sai che la volta successiva gliene darai un altro po’. Per oggi, però, ne hai avuto abbastanza, una sonora grattata sotto al mento e già è tuo, sai che tornerà non appena tirerai fuori qualcosa di allettante. Solo i migliori clienti per me! Dove diavolo è finito quel fabbro? Pensavo di potermi fidare di lui. Dodici minuti e ancora nulla. Il ticchettare dell’orologio inizia ad essere assillante. Si può sapere perché diavolo le lancette si muovono così lentamente? Dai, su, accelerate il passo, c’è gente che deve uscire da questo posto! O in alternativa fate un po’ di pressione a quel fabbro che si sta facendo desiderare. Manco fosse l’ultimo arrivo sul mercato! Lo sappiamo benissimo tutti che le porte esistono da secoli, il tuo lavoro non può essere arrivato molto più tardi, sicuramente non negli ultimi mesi, quindi datti una mossa!
Credo di stare impazzendo, quelle ragnatele sono proprio brutte da vedere. Meno male che non le vede nessuno oltre a me. E quella muffa emette proprio un odore nauseabondo. Fortuna che sono da solo qua dentro! Non credo che potrei tollerare la presenza di qualcun altro qui. Per non parlare della crepa sul soffitto! Quella è terrificante, ora che la osservo bene. Potrei ritrovarmi qualcosa in casa da un momento all’altro, magari la tipica vicina di casa grassottella in vasca da bagno. Qualcosa di ridicolo, imbarazzante, poco sensato, qualcosa che preferirei lasciare esattamente dov’è. Forse è per questo che non trovo mai il tempo di pensare a tutte queste cose, perché non voglio farlo. Non voglio restare intrappolato qua dentro troppo a lungo, tra queste quattro spoglie e sudice pareti, sotto a questo soffitto che sta crollando, su questo pavimento freddo e rigido. No, no, devo uscire di qui. Mi manca l’aria, fatico a respirare, devo andarmene da qui, ho cose da sbrigare, faccende varie di cui devo assolutamente occuparmi, insomma fammi uscire di qui, maledetto portone logoro e pesante! Levati dalla mia strada, fammi uscire da questo inferno putrido, non voglio stare qui! Fabbro, fabbro! È Lei? Si è bloccata la serratura, mi apra per favore che ho degli appuntamenti molto urgenti!
Oh sia lodato il cielo, La ringrazio moltissimo, sento la serratura girare finalmente! Grazie infinite, Lei mi ha salvato! Grazie!
La moglie tutto bene?

Nessun commento:

Posta un commento