Ho deciso di pubblicare il mio primo racconto qui. Dopo averlo sottoposto al giudizio severo di amici e parenti, ho deciso di trascriverlo qui perché sarei curioso di avere anche altri pareri al riguardo.
EDOARDO
Un racconto
Ci
sono delle sere in cui semplicemente non si può farne a meno. Non si
riesce a non vedere il mondo con sguardo distaccato, vederlo nascere
sotto alla penna, davanti ai propri occhi. Lo si vede fluire davanti
a sé e non si può che lasciarlo scorrere fuori di sé. Era così
che si sentiva lui quella sera nel suo studio mal illuminato. Era lì,
ma era altrove. Tutto passava attraverso di lui, attraverso la sua
mano rapida e crudele, nulla gli sfuggiva. La sua presa sul mondo era
salda. Lo manovrava, lo rigirava, lo esplorava con lo sguardo finché
non ne conosceva ogni particolare. Ogni dettaglio veniva intagliato
da lui stesso attraverso i suoi occhi laboriosi. Erano occhi che non
potevano che afferrare l'immenso, l'eterno, l'irremovibile.
Non
si era mai dato arie con gli altri. Non ne aveva mai parlato con
nessuno, parlare non gli apparteneva. Il suo mondo poteva essere
comunicato unicamente per iscritto, nero su bianco. Aveva un'assoluta
dipendenza dagli spazi tra le lettere, tra le parole, tra le righe,
tra i paragrafi e le pagine. Trovava che ciò semplicemente non
potesse essere trasmesso attraverso silenzi, lunghi o effimeri che
fossero. Guardava il mondo in lontananza, vedeva le cose accadere
davanti ai suoi occhi e le ricreava poi lui stesso. Nulla di mondano
gli apparteneva. Lui puntava più in alto, più in là, verso
l'etereo. È lì che trovava spazio, è lì che si sentiva a casa. I
rumori delle guerre, le sommosse, il caos umano non lo riguardavano.
Stava al di sopra, al di fuori di tutto. Distante, remoto. Ma non per
questo freddo. Pochi sanno quanto calore le sue parole potessero
contenere. La sua mano ricreava rapidi movimenti fisici e moti
d'animo feroci con la prontezza che ci si aspetterebbe da un
giocoliere. Manovrava le parole esattamente come i giocolieri fanno
roteare oggetti. Ogni singolo gesto, ogni singola azione veniva
plasmata sotto il suo controllo. Era il demiurgo della parola, che
creava ma mai distruggeva.
Nella
stanza adiacente ma diametralmente opposto a lui c'era invece
Edoardo: un ragazzo felice, soddisfatto, sempre con la pancia un po'
troppo piena e la testa un po' troppo vuota. Era il perfetto esempio
di “figlio di papà”, di quel figliol prodigo che scialacqua il
patrimonio famigliare in lussi e lussurie nel suo appartamento ben
ammobiliato in centro città. Nulla poteva essergli negato, neanche
la felicità. Tutto gli apparteneva, tutto ciò che esisteva
concretamente doveva necessariamente essere afferrato da lui, sentito
fino nel profondo, per poi essere abbandonato per qualcosa di nuovo.
Era figlio del Capitalismo. La sua felicità risiedeva esattamente
nell'essere costantemente insoddisfatto di tutto ciò che lo
circondava, ciò che lo rendeva felice era precisamente continuare a
cambiare ragazza, spostare l'arredamento, variare cibo, toccare
oggetti sempre diversi. Le cose inequivocabili non gli appartenevano,
tutto ciò che fosse ambiguo era invece cosa sua.
Edoardo
incontrò lo Scrittore una sola volta in vita sua, ma quello fu un
episodio che gli rimase impresso nella memoria e nell'essere per
sempre. Era estate, il sole danzava nel cielo al ritmo dettato
dall'umanità, dal suo caos e dal suo perpetuo ed eterno moto. Le
nuvole si spostavano leggere per fargli spazio, rotolavano via nella
volta celeste come palline di mercurio sul pavimento, nell'attesa di
ricomporre la loro liquida unità. Edoardo, quel mattino, era stato
svegliato proprio da un raggio di sole che si era avventurato
attraverso i suoi grandi tendoni di velluto rosso, attraverso lo
spazio della camera fino al suo letto, dove il giovane ragazzo
giaceva inerte tra bianche lenzuola di seta. Accanto a lui una
sagoma, più che una persona, sonnecchiava sommessamente nella sua
spogliatezza. Il mattino, come la giovinezza per la vita, gli pareva
il momento della giornata migliore, poiché tutto era ancora latente,
tutto poteva ancora nascere, svilupparsi e culminare, prima di dover
necessariamente morire. Era convinto infatti che tutto dovesse
raggiungere un qualche apice prima di tramontare, proprio come il
sole, che a mezzogiorno risplendeva alto e leggiadro nel terso cielo
estivo. Così era la vita: una lenta e costante evoluzione, il
naturale dispiegamento di quelle forze che nel mattino e nella
giovinezza giacciono latenti, l'inesorabile progresso di tutto ciò
che esista o che voglia esistere. In questo si sentiva profondamente
ottimista e questo ottimismo d'altronde non poteva che essere
confermato dalla vita facile e agiata che il denaro sapeva
garantirgli. Tutto arrivava a lui nel momento in cui lo chiedeva più
o meno esplicitamente. Il raggio di sole di quel mattino, però, non
era stato in alcun modo richiesto da lui. Lo accettò quasi
malvolentieri, ma, ricordandosi che era mattina, si alzò dal letto
agilmente e con il suo solito sorriso compiaciuto camminò a passi
puntuali e svelti verso la cucina.
Aprì
il frigo e tirò fuori a casaccio qualche ingrediente per preparare
una delle sue colazioni fantasiose per sé e per la sua amata.
Inutile dire che ogni giorno le portava a letto pietanze diverse.
Oggi si sentiva in vena di uova strapazzate e bacon, così accese il
gas e fece scaldare la padella. Il ticchettio del gas gli ricordava
ogni giorno quando da piccolo sua nonna, al mare, si alzava prima di
lui apposta per preparargli la colazione. Ogni mattino lo voleva
sorprendere con qualcosa di diverso, ma il gas era una costante di
quei giorni. Lui rimaneva sveglio nel letto, ad occhi serrati,
ascoltando silenzioso quel ticchettio che gli segnalava l'inizio dei
lavori e l'imminente soddisfazione di fare colazione a letto con una
delle sue persone preferite. Così, ogni mattino, Edoardo indulgeva
nel premere il pulsante del gas e lo lasciava andare per poco più
del tempo dovuto, giusto per non insospettire le persone che potevano
sentirlo ma allo stesso tempo per godersi il riemergere di quegli
eterni ricordi d'infanzia. Era così che ogni sua mattinata felice
doveva cominciare, perché così nulla poteva andare storto. Nella
routine e nella quotidianità ritrovava una certa sicurezza,
nonostante tutto. Quel mattino, però, non era iniziato esattamente
con il solito ticchettio del gas, bensì con quel raggio di sole che
gli aveva aperto gli occhi e che lo aveva fatto pigramente alzare dal
letto. Lui però non se ne rendeva conto al momento, preso com'era
dal non far bruciare la colazione.
“Bacon
e uova stamattina?” risuonò una voce nella casa.
“Sì,
spero che non ti dispiaccia, sai che mi piace variare il cibo”
rispose Edoardo con la sua roca voce mattutina.
“E
sai che apprezzo molto che tu mi prepari la colazione ogni giorno,
quindi non ho di che lamentarmi” rispose la ragazza, che ora
appariva sulla soglia della cucina con addosso la camicia bianca del
suo uomo. “Io, da parte mia, ti tengo soddisfatto il resto della
giornata, no?”
“Sì,
certo” rispose Edoardo con fare sbrigativo. Servì il tutto in due
piatti separati ma perfettamente uguali e simmetrici. “Allora
stamattina preferiamo mangiare in cucina?”
“Come
preferisce il cuoco, per me è indifferente. Tornare nel letto non
dev'essere un grande sforzo.”
“La
cucina andrà bene stamattina” disse Edoardo prendendo in mano la
situazione.
Consumarono
il loro pasto lentamente, gustandosi ogni singolo boccone, proprio
come facevano della loro vita insieme. Non passava un istante senza
che loro potessero godere pienamente del sapore del momento. Ma
non era tutto, loro infatti erano in grado di assaporare la
vita comune insieme, simmetrici e complementari. I loro corpi nudi si
intrecciavano di notte esattamente nello stesso modo in cui di giorno
le loro anime si abbracciavano dall'inizio alla fine. Le giornate
passavano tra una conversazione e l'altra, tra la routine e la
variazione, tra il più rigoroso rispetto della tradizione e il più
totale asservimento all'istante. Niente poteva strapparli l'uno
dall'altra, o almeno niente aveva potuto farlo fino a quel momento.
“Come
mai stamattina ti sei alzato così rapidamente? E perché non sei
ancora andato in bagno? In genere è una delle tue prerogative quando
ti alzi. Non mi lamento della mancanza del bacio del buongiorno
perché la mattinata è ancora lunga...”
Edoardo
alzò lo sguardo, ma continuò a fissare il vuoto. Come poteva
essersi dimenticato di andare in bagno? Nella sua memoria,
effettivamente, non vi era traccia recente del candore del bagno di
mattina. Senza dire nulla, abbandonò la colazione per recuperare
quella parte della sua quotidianità a cui era tanto affezionato. Si
diresse verso il bagno, si sciacquò la faccia e solo allora si rese
conto che qualcosa in lui stava cambiando. Quel raggio di sole era
riuscito a penetrare la sua mente, aveva lasciato un segno in lui e
solo ora lo comprendeva. Era come se qualcuno, qualcosa si fosse
insinuato all'interno della sua testa, qualcosa di assolutamente
ignoto e alieno, che non riusciva a decifrare. Una parte di sé non
gli rispondeva più.
“Tutto
bene?” una voce lo riportò alla realtà.
“Sì,
certamente! È mattina, tutto va bene, come sempre!” le rispose
Edoardo sorridendo. “Oggi pensavo di uscire a fare un giro, sai,
per sfruttare un po' il bel tempo. La primavera è alle porte.”
“Va
bene, ma non avevi da sbrigare quella faccenda con tuo padre?”
chiese la ragazza, che nel frattempo era entrata in bagno per
lavarsi. Si tolse la camicia ed entrò in doccia. Edoardo, invece,
uscì dal bagno e si diresse verso la cucina, dove la sua colazione
lo stava ancora aspettando. Si dimenticò completamente di
risponderle, i suoi pensieri lo portavano altrove, mentre la sua
routine lo faceva muovere come un automa attraverso le varie fasi
della mattinata. Finì la colazione e ripulì la cucina, poi andò in
camera e tirò i grossi ed eleganti tendoni che quel mattino avevano
lasciato penetrare un raggio di luce primaverile. Edoardo, da parte
sua, si chiedeva ancora come fosse possibile che il sole fosse
riuscito ad entrare in camera, considerato lo spessore del tendaggio.
“Sarà
la primavera” disse fra sé e sé con fare sbrigativo, cercando di
togliersi dalla mente quell'evento che ora appariva remoto ed
insignificante. Si vestì e sistemò il letto, mentre la sua donna
nel frattempo, terminata la doccia, lo aspettava sulla soglia, in
cerca ancora di una risposta alla sua domanda.
“Allora?
Non dovevi sentire tuo padre?” chiese lei con tono interrogativo.
“No,
alla fine avevano sistemato tutto lui e il suo socio. Sai bene che io
ho poca voce in capitolo” rispose Edoardo immerso ancora nella sua
quotidianità.
“Sei
sicuro che vada tutto bene?” chiese la ragazza esitando, “Mi pari
distratto.”
“Sì,
sì, non preoccuparti. Stavo solo pensando che oggi è proprio una
bella giornata! Dovremmo assolutamente uscire a fare un giro. La
città è ancora più bella quando c'è bel tempo, turisti a parte.
Che ne dici?”
“Certo!
È bello, a volte, abbandonarsi alle circostanze” rispose la
ragazza entusiasta, invitando Edoardo a filosofeggiare un po' con
lei. Era una delle loro attività preferite quella di partire da un
esempio specifico e, induttivamente, ricavarne delle leggi generali,
dei sistemi più grandi, che potessero comprendere tutte le
situazioni nella loro singolarità. Qua e là le loro vite si
fermavano per dare spazio ai loro pensieri, allo svilupparsi di
teorie più o meno fondate sulle diverse sfaccettature dell'esistenza
umana. E in questo, come nel resto, erano perfettamente identici,
come due gocce d'acqua che vanno di pari passo sul vetro di una
macchina, vicini, paralleli, a volte distinti, altre inseparabili.
“Sì,
hai ragione. Mi chiedo solo se abbandonarsi alle circostanze non
significhi essere deboli e volubili. In fin dei conti,
sostanzialmente ti adatti a ciò che sta al di fuori di te,
probabilmente perché non hai il coraggio di opporti ad esso o non
sei abbastanza forte da dichiarare l'indipendenza da tutto ciò”
argomentò Edoardo. La sua testa era sì vuota da particolari impegni
e doveri che opprimevano il resto della società, ma d'altra parte
nessuno poteva davvero sostenere che non la utilizzasse spesso, tra
le varie speculazioni filosofiche e le variazioni a cui era tanto
affezionato.
“Concordo,
sì, è raro trovare qualcuno che nuoti contro corrente.”
Le
parole caddero nel vuoto. Il silenzio prese il sopravvento in
quell'appartamento ben arredato di centro città, mentre fuori il
sole sovrastava masse di persone che ridevano, mangiavano,
fotografavano, camminavano, le une accanto alle altre, senza
esitazione. Lo stesso silenzio dominava generalmente la stanza
adiacente, dove lo Scrittore sedeva ore a meditare e a scrivere senza
sosta. In tutti gli anni passati in quell'appartamento, Edoardo non
aveva mai sentito una sola parola, una sola risata provenire da
quell'uomo di mezza età. La sua persona, come la sua storia, era
avvolta dal mistero. Non era dato sapere da dove venisse, se fosse
originario di quella città o di quell'altra e in fondo questo
contava poco. A volte si arrivava a pensare che avesse perso la
parola per qualche trauma, o che magari non credesse nell'uso della
voce per una sorta di particolare interpretazione della vita. Magari
la sua esistenza consisteva nell'aver a che fare con le parole ma mai
dar loro voce per evitare che perdessero la loro magia. Tutte queste
supposizioni altro non erano che, appunto, voci. La gente non poteva
che presupporre, di fronte all'ignoto.
Quel
giorno, tuttavia, lo Scrittore era stato attratto dal bel tempo verso
l'esterno e aveva quindi forse deciso di andare al parco per
osservare la vita evolversi davanti ai suoi occhi. Fatto sta che
Edoardo e la sua ragazza lo incontrarono per caso sul pianerottolo
davanti ai loro due ingressi, loro felici ed entusiasti della vita,
lui semplicemente privo di una particolare disposizione d'animo. I
due giovani si avvicinarono per salutarlo con aria affabile.
“Buongiorno!
Ha visto che splendida giornata?” chiese Edoardo con un sorriso a
trentadue denti. La ragazza era avvolta dal suo forte braccio sicuro.
Lo Scrittore alzò lo sguardo, fissò Edoardo con i suoi penetranti
occhi neri, poi socchiuse lentamente le palpebre e abbassò
leggermente la testa in segno di rispetto. Tornato poi nella
posizione originaria, si diresse verso le scale e scese lentamente
verso il piano terra, come sollevato da terra, come se non toccasse
davvero il suolo. I due giovani rimasero impietriti davanti a tale
presenza, le bocche socchiuse e le espressioni confuse. La ragazza
poi si voltò verso Edoardo con sguardo interrogativo, ma notò che
il suo viso era improvvisamente tornato quello che aveva mostrato a
colazione quando lei gli aveva ricordato che non era andato in bagno
com'era suo solito. Lo sguardo cadeva nel vuoto, gli occhi erano
vitrei e privi di movimento.
“Ehi,
tutto a posto?” chiese lei.
“Sì,
tranquilla! Andiamo a fare un giro, quindi?” rispose Edoardo dopo
essersi ripreso.
“Va
bene, sì!”
Così
i due giovani si avviarono verso l'esterno, dove la primavera stava
finalmente fiorendo. Si respirava gioia e voglia di vivere nell'aria.
Edoardo, tuttavia, continuava a cercare di soffocare quel sentimento
di tristezza che lo sguardo dello Scrittore aveva risvegliato in lui.
Tentava ripetutamente di spingerlo verso la zona più buia della sua
psiche, ma questo continuava a riaffiorare qua e là.
“Edoardo?”
lo interpellò la ragazza.
“Sì,
dimmi!” rispose Edoardo.
“Non
hai sentito nulla di quello che ti ho detto, scusa? È da cinque
minuti che sto parlando... Oggi sei decisamente molto più distratto
del solito. Comunque dicevo che mia madre, per il matrimonio, pensava
di...”. Il matrimonio. Sua madre. Nulla lo tangeva, fintanto che
non riusciva a capire che cosa fosse questa forza dentro di lui che
cercava di manifestarsi così strenuamente. La sua origine era
chiara, ma più cercava di analizzarlo meno ne capiva. L'unica
possibilità era lasciarsene sopraffare, abbandonarsi in toto a
questa vaga emozione totalizzante. Edoardo, però, non era quel
genere di persona che si lasciava sommergere dall'esterno. Pensava di
trovare in sé tutto ciò di cui potesse avere bisogno, quindi
l'esterno per lui altro non era che l'altro, l'ignoto, l'alieno,
certamente non una fonte di energia. Le sue risorse erano le uniche
che potessero effettivamente servirgli, secondo il suo punto di
vista, per organizzare la sua vita in modo soddisfacente. Ma allora
perché era costantemente insoddisfatto? Perché nulla gli bastava
più? Era davvero lui a non sapersi accontentare di ciò che aveva, a
dare per scontato e svalutare ogni singolo gesto ed oggetto che gli
si parasse davanti o erano le circostanze ad impedirgli di godere
della ricchezza di esperienze che egli si procurava? Nella sua mente
questi interrogativi schiamazzavano incessantemente. Solamente lo
Scrittore, pensava, poteva chiarirgli la sua situazione. Questa era
la conclusione a cui giunse e ne fu piuttosto stranito, considerando
che non conosceva assolutamente questa persona. Come poteva lui
dargli delle risposte su se stesso che egli non sapeva trovare?
La
mattinata procedette senza intoppi e piuttosto rapidamente, tra una
chiacchierata di circostanza con amici di vecchia data e un giro al
parco, tra i peschi in fiore e gli adolescenti che scoprivano per la
prima volta che la vita non è così facile come l'infanzia ci fa
credere. Edoardo, da parte sua, era riuscito ad abbandonarsi al
piacere della mattinata senza troppa fatica, nonostante l'urgenza
delle domande da porre allo Scrittore continuasse a martellarlo.
Pranzarono in un costoso ristorante in centro, uno dei pochi che non
avevano ancora avuto occasione di testare, e se ne uscirono con la
pancia piena e soddisfatta. Dopo pranzo improvvisarono un pomeriggio
vagando per il centro senza alcuna meta specifica. La temperatura era
decisamente primaverile, a volte ad Edoardo parve di essere
addirittura in estate, vedendo il cielo terso e il sole alto nel
cielo. La sera, tuttavia, si avvicinava inesorabile, con il suo
colore rossastro e la sua intrinseca malinconia.
“Trovo
che il tramonto sia il momento più intenso e drammatico della
giornata” disse a bassa voce Edoardo. “È quando le tue energie
iniziano piano piano ad assopirsi e passi improvvisamente alla vita
contemplativa. Nessuna azione può essere portata a termine
decentemente dopo il tramonto, perché si diventa troppo emotivi e
sensibili per fare. C'è solo spazio per pensare e riflettere,
nient'altro è concesso. Almeno a me.”
“Ma
proprio tu lo dici? Ma se due volte a settimana partecipiamo a delle
feste dei nostri amici?” gli rispose la ragazza al suo fianco.
“Beh,
le feste servono solo per riempire i silenzi imbarazzanti” concluse
Edoardo, mentre contemplava, dalla panchina, i giardini che ora
iniziavano a spopolarsi per lasciare spazio alle tenebre. Il silenzio
avvolgeva lentamente le urla dei bambini fino a soffocarle.
Attraverso gli occhi di Edoardo, il giorno stava diventando sera, la
giovinezza età adulta e la sua varia ma sicura routine mattutina un
insieme di confusi gesti caotici senza alcun fine evidente.
“Vabbeh,
andiamo a casa ora, dobbiamo preparare la cena” disse la ragazza.
“Potrei azzardare della pizza, che dici?”
“Come
preferisci” disse Edoardo assente.
Non
appena arrivarono sul loro pianerottolo, Edoardo invitò la ragazza
ad entrare in casa e ad ordinare la pizza. Aveva infatti notato che
la porta d'ingresso dell'appartamento dello Scrittore era socchiusa
ed era pertanto curioso di rivedere quello stesso uomo che l'aveva
precedentemente lasciato perplesso. Bussò piano alla porta,
attendendo una risposta. Sbirciando dalla fessura, tuttavia,
intravide una lettera riposta su un tavolino accanto all'ingresso.
Aprì leggermente la porta, tanto quanto basta per capire che quella
lettera, sorprendentemente, era indirizzata a lui. “Ad Edoardo, per
piacere leggila in solitudine, nessun altro potrebbe comprendere”.
Il ragazzo fu ovviamente incuriosito e la prese, ma non ebbe il
coraggio di leggerla lì su due piedi. Sentì che in qualche modo
quella lettera richiedeva più tempo ed attenzione. La cacciò
frettolosamente in tasca e tornò nel suo appartamento.
“Ho
appena telefonato, le nostre pizze saranno pronte tra un quarto
d'ora, passi tu a prenderle? È la solita pizzeria, quella in fondo
alla strada!” intonò una voce dalla cucina.
“Certamente.
Già che devo uscire vado subito così sbrigo un attimo delle
faccende, ti fa niente?” chiese Edoardo, senza aspettarsi una vera
risposta.
“Ehm
sì, okay. Ma cosa devi fare?”
“Non
preoccuparti, tornerò con le nostre pizze non appena saranno pronte”
e con queste parole uscì chiudendo la porta dietro di sé. Con le
mani in tasca, scese le scale in tutta fretta e si diresse verso
l'esterno, possibilmente in un posto appartato, come i giardini di
sera. Per tutto il tragitto continuò a tenere stretta in mano la
lettera nella sua tasca, un po' per essere sicuro di non perderla, un
po' perché era troppo curioso di leggerla. Arrivato alla sua solita
panchina, si sedette e tirò fuori la lettera, che così recitava.
Caro
Edoardo,
Sono
consapevole di non far parte del tuo grande cerchio di conoscenze e
amicizie di dubbio senso, ma alla fine di questa lettera capirai
perché io mi sia permesso di scriverti in tono confidenziale queste
righe e spero che così avrò assolto, una volta per tutte, al mio
compito. È ben strano leggere di una persona con cui non ci si è
mai scambiati parole di persona, ma ti invito ad accogliere a braccia
aperte questi neri caratteri su sfondo bianco. Devi sapere che vivo
da anni nell'appartamento accanto al tuo e tutto questo tempo, in un
certo senso, mi permette di fare le seguenti considerazioni sulla tua
vita.
La
gioventù è ben lontana da te, è tempo che tu te ne accorga.
Continui a vivere nella tua gabbia d'oro con una persona con cui
pensi di condividere la tua vita, ma tutto ciò che fai è concederle
dello spazio e dell'ossigeno nel tuo lussuoso appartamento da
borghese. Tra di voi manca l'intesa spirituale che proclami con tanta
certezza, nulla di ciò che ritieni sia veritiero rispecchia
effettivamente la realtà. Vivere non è facile, è ora di aprire gli
occhi. Il denaro ti deriva immeritatamente da un lavoro che non
potrebbe in alcun modo essere prodotto tuo, come una sorta di
zampillo indesiderato che annaffia il tuo terreno. Tu lo accetti
passivamente, non opponi resistenza; come ci si può, d'altronde,
mettere contro ciò che pare fluire naturalmente? Perché contrastare
l'automatismo? È questo un sintomo di grande debolezza. La gioventù,
come dicevo, sta lasciando spazio ai gelidi venti dell'età adulta,
che, prima che tu riesca a comprenderlo, raseranno a zero il tuo
tiepido riparo familiare per poi spogliarti dei tuoi vestiti
borghesi. È il conflitto primordiale tra l'alfa e l'omega, tra
l'uomo e il lupo, tra l'età dell'innocenza e l'età dell'esperienza.
Presto ti guarderai allo specchio e desidererai ritornare bambino.
Qualcosa in te sta iniziando a crollare e questo è proprio un
sintomo della malattia dell'età adulta. Quel raggio di sole, la
primavera, il mattino, la routine, nulla è stato per caso, nemmeno
il fortuito incontro sul pianerottolo che collega i nostri due
appartamenti. Neppure questa lettera, come vedi, è casuale. Cerchi
continuamente un vago rinnovamento, della vana varietà, nella
speranza di ricostruire quella sicurezza fisica e spirituale che vedi
cadere a pezzi ogni giorno. Il tuo viso, la tua identità, il tuo
carattere si sta sfaldando. È tempo di abbandonare questo
attaccamento ossessivo ai propri principi per adagiarsi placidamente
sul fondo di una barca che è in rotta di collimazione. Il capitano,
in fondo, si dice debba sempre morire con la propria nave.
Questa
non è una lettera di condanna, il mio intento e compito è ben
altro. Sono una persona riservata, schiva, che alle patetiche
chiacchiere d'oggigiorno preferisce gli antichi e solenni caratteri
impressi nella carta. L'inchiostro di sua stessa natura ha la
capacità di restare laddove si è posato, contrariamente alle nostre
parole. Attraverso la scrittura, questa splendida arte, cerchiamo di
dare sostanza eterna a ciò che altrimenti verrebbe portato via dal
vento del cambiamento. Come intuirai, noi due siamo simili, in questo
aspetto: tu cerchi di far attraccare la tua nave in un porto sicuro,
io mi sforzo di dare un carattere meno patetico a tutto ciò che
viene smarrito ogni giorno. Questo è il mio compito, non quello di
raccontare della mia vita, ma di plasmare il mondo attraverso la mia
penna, di renderlo uniforme, sensato e coerente. Non esiste compito
più umano, in questo senso. Proprio per questo, rinuncio al mio
stesso nome di battesimo, da tempo smarrito, in favore invece di ciò
che faccio. Sono lo Scrittore, come voi d'altronde mi chiamate già
da tempo, e per questo vi ringrazio. Per una volta, noto che l'ignoto
ha assunto una forma a lui consona. Dopo essermi presentato, posso
finalmente portare a termine il mio compito.
Quella
che tu consideri la tua fidanzata altro non è che un macabro
tentativo di riflettere te stesso. In lei vorresti sempre contemplare
la tua stessa immagine perché non saresti in grado di accettare
null'altro. Io stesso sono una tua proiezione, una figura
indissolubilmente legata al tuo modo di vedere e concepire la realtà.
Lei soddisfa la tua ambizione, il tuo desiderio di fama, di gloria,
la tua necessità di indirizzare verso qualcosa di vago e futile il
denaro che ti ritrovi in tasca. Io, d'altra parte, non posso esimermi
dal fungere, per questa prima e ultima volta, da figura autoritaria e
paterna. Siamo simili, come ti ho detto, ma tra di noi ci sono
differenze sostanziali. Lo Scrittore non è altro che un raggio di
sole primaverile che si insinua furtivamente tra i tuoi fitti tendoni
nella tua pacata e vacua mattinata; un pensiero persistente che ti
martella, come un trapano che persevera nel far breccia in un solido
muro di mattoni. In altre parole, incarno quell'idea che stai
accarezzando da tempo. È giunta l'ora di ascoltare le voci nella tua
testa, Edoardo.
Tuo
per sempre,
lo
Scrittore
Il
ragazzo alzò lo sguardo al cielo, si accasciò a terra, nulla poteva
ormai aiutarlo, era troppo tardi. Gli alberi intorno a lui iniziarono
a ripiegarsi, ad opprimerlo con le loro immense fronde; le case in
lontananza si gonfiavano, raggiungevano il limite e poi esplodevano;
il terreno sotto i suoi piedi era inconsistente, malleabile,
insicuro; il suo corpo non gli rispondeva più, il respiro affannoso,
gli occhi gonfi di lacrime, il cuore non riusciva a contrastare la
gabbia all'interno della quale era stato stipato. Improvvisamente,
tutto crollò. La realtà l'aveva inghiottito.
Al
suo risveglio, Edoardo ebbe pochi minuti. Giusto lo stretto
necessario per comprendere che era davvero successo, la vita l'aveva
davvero inghiottito, il peso che si sentiva sul petto esisteva
davvero, niente era stato per caso. Gli mancavano le forze per
vivere. Il giorno successivo, tutti i giornali riportavano
l'accaduto, spacciandolo per un decesso per cause naturali. Ancora
una volta, la voce trionfava sulla parola.
“Ragazzo
di 24 anni trovato morto in un parco in città. I medici legali non
hanno trovato nessuna ferita mortale, perciò si pensa a cause
naturali. Il ragazzo viveva in un appartamento da solo, finanziato
dal padre poiché impossibilitato a lavorare. Un'altra vittima dei
nostri tempi.”
Ben scritto e ricco di spunti. Mi é piaciuto!
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