martedì 8 aprile 2014

Il mio primo racconto

Ho deciso di pubblicare il mio primo racconto qui. Dopo averlo sottoposto al giudizio severo di amici e parenti, ho deciso di trascriverlo qui perché sarei curioso di avere anche altri pareri al riguardo.

Albrecht Dürer, 'San Girolamo nella cella" (1514)








































EDOARDO
Un racconto

Ci sono delle sere in cui semplicemente non si può farne a meno. Non si riesce a non vedere il mondo con sguardo distaccato, vederlo nascere sotto alla penna, davanti ai propri occhi. Lo si vede fluire davanti a sé e non si può che lasciarlo scorrere fuori di sé. Era così che si sentiva lui quella sera nel suo studio mal illuminato. Era lì, ma era altrove. Tutto passava attraverso di lui, attraverso la sua mano rapida e crudele, nulla gli sfuggiva. La sua presa sul mondo era salda. Lo manovrava, lo rigirava, lo esplorava con lo sguardo finché non ne conosceva ogni particolare. Ogni dettaglio veniva intagliato da lui stesso attraverso i suoi occhi laboriosi. Erano occhi che non potevano che afferrare l'immenso, l'eterno, l'irremovibile.
Non si era mai dato arie con gli altri. Non ne aveva mai parlato con nessuno, parlare non gli apparteneva. Il suo mondo poteva essere comunicato unicamente per iscritto, nero su bianco. Aveva un'assoluta dipendenza dagli spazi tra le lettere, tra le parole, tra le righe, tra i paragrafi e le pagine. Trovava che ciò semplicemente non potesse essere trasmesso attraverso silenzi, lunghi o effimeri che fossero. Guardava il mondo in lontananza, vedeva le cose accadere davanti ai suoi occhi e le ricreava poi lui stesso. Nulla di mondano gli apparteneva. Lui puntava più in alto, più in là, verso l'etereo. È lì che trovava spazio, è lì che si sentiva a casa. I rumori delle guerre, le sommosse, il caos umano non lo riguardavano. Stava al di sopra, al di fuori di tutto. Distante, remoto. Ma non per questo freddo. Pochi sanno quanto calore le sue parole potessero contenere. La sua mano ricreava rapidi movimenti fisici e moti d'animo feroci con la prontezza che ci si aspetterebbe da un giocoliere. Manovrava le parole esattamente come i giocolieri fanno roteare oggetti. Ogni singolo gesto, ogni singola azione veniva plasmata sotto il suo controllo. Era il demiurgo della parola, che creava ma mai distruggeva.
Nella stanza adiacente ma diametralmente opposto a lui c'era invece Edoardo: un ragazzo felice, soddisfatto, sempre con la pancia un po' troppo piena e la testa un po' troppo vuota. Era il perfetto esempio di “figlio di papà”, di quel figliol prodigo che scialacqua il patrimonio famigliare in lussi e lussurie nel suo appartamento ben ammobiliato in centro città. Nulla poteva essergli negato, neanche la felicità. Tutto gli apparteneva, tutto ciò che esisteva concretamente doveva necessariamente essere afferrato da lui, sentito fino nel profondo, per poi essere abbandonato per qualcosa di nuovo. Era figlio del Capitalismo. La sua felicità risiedeva esattamente nell'essere costantemente insoddisfatto di tutto ciò che lo circondava, ciò che lo rendeva felice era precisamente continuare a cambiare ragazza, spostare l'arredamento, variare cibo, toccare oggetti sempre diversi. Le cose inequivocabili non gli appartenevano, tutto ciò che fosse ambiguo era invece cosa sua.
Edoardo incontrò lo Scrittore una sola volta in vita sua, ma quello fu un episodio che gli rimase impresso nella memoria e nell'essere per sempre. Era estate, il sole danzava nel cielo al ritmo dettato dall'umanità, dal suo caos e dal suo perpetuo ed eterno moto. Le nuvole si spostavano leggere per fargli spazio, rotolavano via nella volta celeste come palline di mercurio sul pavimento, nell'attesa di ricomporre la loro liquida unità. Edoardo, quel mattino, era stato svegliato proprio da un raggio di sole che si era avventurato attraverso i suoi grandi tendoni di velluto rosso, attraverso lo spazio della camera fino al suo letto, dove il giovane ragazzo giaceva inerte tra bianche lenzuola di seta. Accanto a lui una sagoma, più che una persona, sonnecchiava sommessamente nella sua spogliatezza. Il mattino, come la giovinezza per la vita, gli pareva il momento della giornata migliore, poiché tutto era ancora latente, tutto poteva ancora nascere, svilupparsi e culminare, prima di dover necessariamente morire. Era convinto infatti che tutto dovesse raggiungere un qualche apice prima di tramontare, proprio come il sole, che a mezzogiorno risplendeva alto e leggiadro nel terso cielo estivo. Così era la vita: una lenta e costante evoluzione, il naturale dispiegamento di quelle forze che nel mattino e nella giovinezza giacciono latenti, l'inesorabile progresso di tutto ciò che esista o che voglia esistere. In questo si sentiva profondamente ottimista e questo ottimismo d'altronde non poteva che essere confermato dalla vita facile e agiata che il denaro sapeva garantirgli. Tutto arrivava a lui nel momento in cui lo chiedeva più o meno esplicitamente. Il raggio di sole di quel mattino, però, non era stato in alcun modo richiesto da lui. Lo accettò quasi malvolentieri, ma, ricordandosi che era mattina, si alzò dal letto agilmente e con il suo solito sorriso compiaciuto camminò a passi puntuali e svelti verso la cucina.
Aprì il frigo e tirò fuori a casaccio qualche ingrediente per preparare una delle sue colazioni fantasiose per sé e per la sua amata. Inutile dire che ogni giorno le portava a letto pietanze diverse. Oggi si sentiva in vena di uova strapazzate e bacon, così accese il gas e fece scaldare la padella. Il ticchettio del gas gli ricordava ogni giorno quando da piccolo sua nonna, al mare, si alzava prima di lui apposta per preparargli la colazione. Ogni mattino lo voleva sorprendere con qualcosa di diverso, ma il gas era una costante di quei giorni. Lui rimaneva sveglio nel letto, ad occhi serrati, ascoltando silenzioso quel ticchettio che gli segnalava l'inizio dei lavori e l'imminente soddisfazione di fare colazione a letto con una delle sue persone preferite. Così, ogni mattino, Edoardo indulgeva nel premere il pulsante del gas e lo lasciava andare per poco più del tempo dovuto, giusto per non insospettire le persone che potevano sentirlo ma allo stesso tempo per godersi il riemergere di quegli eterni ricordi d'infanzia. Era così che ogni sua mattinata felice doveva cominciare, perché così nulla poteva andare storto. Nella routine e nella quotidianità ritrovava una certa sicurezza, nonostante tutto. Quel mattino, però, non era iniziato esattamente con il solito ticchettio del gas, bensì con quel raggio di sole che gli aveva aperto gli occhi e che lo aveva fatto pigramente alzare dal letto. Lui però non se ne rendeva conto al momento, preso com'era dal non far bruciare la colazione.
Bacon e uova stamattina?” risuonò una voce nella casa.
Sì, spero che non ti dispiaccia, sai che mi piace variare il cibo” rispose Edoardo con la sua roca voce mattutina.
E sai che apprezzo molto che tu mi prepari la colazione ogni giorno, quindi non ho di che lamentarmi” rispose la ragazza, che ora appariva sulla soglia della cucina con addosso la camicia bianca del suo uomo. “Io, da parte mia, ti tengo soddisfatto il resto della giornata, no?”
Sì, certo” rispose Edoardo con fare sbrigativo. Servì il tutto in due piatti separati ma perfettamente uguali e simmetrici. “Allora stamattina preferiamo mangiare in cucina?”
Come preferisce il cuoco, per me è indifferente. Tornare nel letto non dev'essere un grande sforzo.”
La cucina andrà bene stamattina” disse Edoardo prendendo in mano la situazione.
Consumarono il loro pasto lentamente, gustandosi ogni singolo boccone, proprio come facevano della loro vita insieme. Non passava un istante senza che loro potessero godere pienamente del sapore del momento. Ma non era tutto, loro infatti erano in grado di assaporare la vita comune insieme, simmetrici e complementari. I loro corpi nudi si intrecciavano di notte esattamente nello stesso modo in cui di giorno le loro anime si abbracciavano dall'inizio alla fine. Le giornate passavano tra una conversazione e l'altra, tra la routine e la variazione, tra il più rigoroso rispetto della tradizione e il più totale asservimento all'istante. Niente poteva strapparli l'uno dall'altra, o almeno niente aveva potuto farlo fino a quel momento.
Come mai stamattina ti sei alzato così rapidamente? E perché non sei ancora andato in bagno? In genere è una delle tue prerogative quando ti alzi. Non mi lamento della mancanza del bacio del buongiorno perché la mattinata è ancora lunga...”
Edoardo alzò lo sguardo, ma continuò a fissare il vuoto. Come poteva essersi dimenticato di andare in bagno? Nella sua memoria, effettivamente, non vi era traccia recente del candore del bagno di mattina. Senza dire nulla, abbandonò la colazione per recuperare quella parte della sua quotidianità a cui era tanto affezionato. Si diresse verso il bagno, si sciacquò la faccia e solo allora si rese conto che qualcosa in lui stava cambiando. Quel raggio di sole era riuscito a penetrare la sua mente, aveva lasciato un segno in lui e solo ora lo comprendeva. Era come se qualcuno, qualcosa si fosse insinuato all'interno della sua testa, qualcosa di assolutamente ignoto e alieno, che non riusciva a decifrare. Una parte di sé non gli rispondeva più.
Tutto bene?” una voce lo riportò alla realtà.
Sì, certamente! È mattina, tutto va bene, come sempre!” le rispose Edoardo sorridendo. “Oggi pensavo di uscire a fare un giro, sai, per sfruttare un po' il bel tempo. La primavera è alle porte.”
Va bene, ma non avevi da sbrigare quella faccenda con tuo padre?” chiese la ragazza, che nel frattempo era entrata in bagno per lavarsi. Si tolse la camicia ed entrò in doccia. Edoardo, invece, uscì dal bagno e si diresse verso la cucina, dove la sua colazione lo stava ancora aspettando. Si dimenticò completamente di risponderle, i suoi pensieri lo portavano altrove, mentre la sua routine lo faceva muovere come un automa attraverso le varie fasi della mattinata. Finì la colazione e ripulì la cucina, poi andò in camera e tirò i grossi ed eleganti tendoni che quel mattino avevano lasciato penetrare un raggio di luce primaverile. Edoardo, da parte sua, si chiedeva ancora come fosse possibile che il sole fosse riuscito ad entrare in camera, considerato lo spessore del tendaggio.
Sarà la primavera” disse fra sé e sé con fare sbrigativo, cercando di togliersi dalla mente quell'evento che ora appariva remoto ed insignificante. Si vestì e sistemò il letto, mentre la sua donna nel frattempo, terminata la doccia, lo aspettava sulla soglia, in cerca ancora di una risposta alla sua domanda.
Allora? Non dovevi sentire tuo padre?” chiese lei con tono interrogativo.
No, alla fine avevano sistemato tutto lui e il suo socio. Sai bene che io ho poca voce in capitolo” rispose Edoardo immerso ancora nella sua quotidianità.
Sei sicuro che vada tutto bene?” chiese la ragazza esitando, “Mi pari distratto.”
Sì, sì, non preoccuparti. Stavo solo pensando che oggi è proprio una bella giornata! Dovremmo assolutamente uscire a fare un giro. La città è ancora più bella quando c'è bel tempo, turisti a parte. Che ne dici?”
Certo! È bello, a volte, abbandonarsi alle circostanze” rispose la ragazza entusiasta, invitando Edoardo a filosofeggiare un po' con lei. Era una delle loro attività preferite quella di partire da un esempio specifico e, induttivamente, ricavarne delle leggi generali, dei sistemi più grandi, che potessero comprendere tutte le situazioni nella loro singolarità. Qua e là le loro vite si fermavano per dare spazio ai loro pensieri, allo svilupparsi di teorie più o meno fondate sulle diverse sfaccettature dell'esistenza umana. E in questo, come nel resto, erano perfettamente identici, come due gocce d'acqua che vanno di pari passo sul vetro di una macchina, vicini, paralleli, a volte distinti, altre inseparabili.
Sì, hai ragione. Mi chiedo solo se abbandonarsi alle circostanze non significhi essere deboli e volubili. In fin dei conti, sostanzialmente ti adatti a ciò che sta al di fuori di te, probabilmente perché non hai il coraggio di opporti ad esso o non sei abbastanza forte da dichiarare l'indipendenza da tutto ciò” argomentò Edoardo. La sua testa era sì vuota da particolari impegni e doveri che opprimevano il resto della società, ma d'altra parte nessuno poteva davvero sostenere che non la utilizzasse spesso, tra le varie speculazioni filosofiche e le variazioni a cui era tanto affezionato.
Concordo, sì, è raro trovare qualcuno che nuoti contro corrente.”
Le parole caddero nel vuoto. Il silenzio prese il sopravvento in quell'appartamento ben arredato di centro città, mentre fuori il sole sovrastava masse di persone che ridevano, mangiavano, fotografavano, camminavano, le une accanto alle altre, senza esitazione. Lo stesso silenzio dominava generalmente la stanza adiacente, dove lo Scrittore sedeva ore a meditare e a scrivere senza sosta. In tutti gli anni passati in quell'appartamento, Edoardo non aveva mai sentito una sola parola, una sola risata provenire da quell'uomo di mezza età. La sua persona, come la sua storia, era avvolta dal mistero. Non era dato sapere da dove venisse, se fosse originario di quella città o di quell'altra e in fondo questo contava poco. A volte si arrivava a pensare che avesse perso la parola per qualche trauma, o che magari non credesse nell'uso della voce per una sorta di particolare interpretazione della vita. Magari la sua esistenza consisteva nell'aver a che fare con le parole ma mai dar loro voce per evitare che perdessero la loro magia. Tutte queste supposizioni altro non erano che, appunto, voci. La gente non poteva che presupporre, di fronte all'ignoto.
Quel giorno, tuttavia, lo Scrittore era stato attratto dal bel tempo verso l'esterno e aveva quindi forse deciso di andare al parco per osservare la vita evolversi davanti ai suoi occhi. Fatto sta che Edoardo e la sua ragazza lo incontrarono per caso sul pianerottolo davanti ai loro due ingressi, loro felici ed entusiasti della vita, lui semplicemente privo di una particolare disposizione d'animo. I due giovani si avvicinarono per salutarlo con aria affabile.
Buongiorno! Ha visto che splendida giornata?” chiese Edoardo con un sorriso a trentadue denti. La ragazza era avvolta dal suo forte braccio sicuro. Lo Scrittore alzò lo sguardo, fissò Edoardo con i suoi penetranti occhi neri, poi socchiuse lentamente le palpebre e abbassò leggermente la testa in segno di rispetto. Tornato poi nella posizione originaria, si diresse verso le scale e scese lentamente verso il piano terra, come sollevato da terra, come se non toccasse davvero il suolo. I due giovani rimasero impietriti davanti a tale presenza, le bocche socchiuse e le espressioni confuse. La ragazza poi si voltò verso Edoardo con sguardo interrogativo, ma notò che il suo viso era improvvisamente tornato quello che aveva mostrato a colazione quando lei gli aveva ricordato che non era andato in bagno com'era suo solito. Lo sguardo cadeva nel vuoto, gli occhi erano vitrei e privi di movimento.
Ehi, tutto a posto?” chiese lei.
Sì, tranquilla! Andiamo a fare un giro, quindi?” rispose Edoardo dopo essersi ripreso.
Va bene, sì!”
Così i due giovani si avviarono verso l'esterno, dove la primavera stava finalmente fiorendo. Si respirava gioia e voglia di vivere nell'aria. Edoardo, tuttavia, continuava a cercare di soffocare quel sentimento di tristezza che lo sguardo dello Scrittore aveva risvegliato in lui. Tentava ripetutamente di spingerlo verso la zona più buia della sua psiche, ma questo continuava a riaffiorare qua e là.
Edoardo?” lo interpellò la ragazza.
Sì, dimmi!” rispose Edoardo.
Non hai sentito nulla di quello che ti ho detto, scusa? È da cinque minuti che sto parlando... Oggi sei decisamente molto più distratto del solito. Comunque dicevo che mia madre, per il matrimonio, pensava di...”. Il matrimonio. Sua madre. Nulla lo tangeva, fintanto che non riusciva a capire che cosa fosse questa forza dentro di lui che cercava di manifestarsi così strenuamente. La sua origine era chiara, ma più cercava di analizzarlo meno ne capiva. L'unica possibilità era lasciarsene sopraffare, abbandonarsi in toto a questa vaga emozione totalizzante. Edoardo, però, non era quel genere di persona che si lasciava sommergere dall'esterno. Pensava di trovare in sé tutto ciò di cui potesse avere bisogno, quindi l'esterno per lui altro non era che l'altro, l'ignoto, l'alieno, certamente non una fonte di energia. Le sue risorse erano le uniche che potessero effettivamente servirgli, secondo il suo punto di vista, per organizzare la sua vita in modo soddisfacente. Ma allora perché era costantemente insoddisfatto? Perché nulla gli bastava più? Era davvero lui a non sapersi accontentare di ciò che aveva, a dare per scontato e svalutare ogni singolo gesto ed oggetto che gli si parasse davanti o erano le circostanze ad impedirgli di godere della ricchezza di esperienze che egli si procurava? Nella sua mente questi interrogativi schiamazzavano incessantemente. Solamente lo Scrittore, pensava, poteva chiarirgli la sua situazione. Questa era la conclusione a cui giunse e ne fu piuttosto stranito, considerando che non conosceva assolutamente questa persona. Come poteva lui dargli delle risposte su se stesso che egli non sapeva trovare?
La mattinata procedette senza intoppi e piuttosto rapidamente, tra una chiacchierata di circostanza con amici di vecchia data e un giro al parco, tra i peschi in fiore e gli adolescenti che scoprivano per la prima volta che la vita non è così facile come l'infanzia ci fa credere. Edoardo, da parte sua, era riuscito ad abbandonarsi al piacere della mattinata senza troppa fatica, nonostante l'urgenza delle domande da porre allo Scrittore continuasse a martellarlo. Pranzarono in un costoso ristorante in centro, uno dei pochi che non avevano ancora avuto occasione di testare, e se ne uscirono con la pancia piena e soddisfatta. Dopo pranzo improvvisarono un pomeriggio vagando per il centro senza alcuna meta specifica. La temperatura era decisamente primaverile, a volte ad Edoardo parve di essere addirittura in estate, vedendo il cielo terso e il sole alto nel cielo. La sera, tuttavia, si avvicinava inesorabile, con il suo colore rossastro e la sua intrinseca malinconia.
Trovo che il tramonto sia il momento più intenso e drammatico della giornata” disse a bassa voce Edoardo. “È quando le tue energie iniziano piano piano ad assopirsi e passi improvvisamente alla vita contemplativa. Nessuna azione può essere portata a termine decentemente dopo il tramonto, perché si diventa troppo emotivi e sensibili per fare. C'è solo spazio per pensare e riflettere, nient'altro è concesso. Almeno a me.”
Ma proprio tu lo dici? Ma se due volte a settimana partecipiamo a delle feste dei nostri amici?” gli rispose la ragazza al suo fianco.
Beh, le feste servono solo per riempire i silenzi imbarazzanti” concluse Edoardo, mentre contemplava, dalla panchina, i giardini che ora iniziavano a spopolarsi per lasciare spazio alle tenebre. Il silenzio avvolgeva lentamente le urla dei bambini fino a soffocarle. Attraverso gli occhi di Edoardo, il giorno stava diventando sera, la giovinezza età adulta e la sua varia ma sicura routine mattutina un insieme di confusi gesti caotici senza alcun fine evidente.
Vabbeh, andiamo a casa ora, dobbiamo preparare la cena” disse la ragazza. “Potrei azzardare della pizza, che dici?”
Come preferisci” disse Edoardo assente.
Non appena arrivarono sul loro pianerottolo, Edoardo invitò la ragazza ad entrare in casa e ad ordinare la pizza. Aveva infatti notato che la porta d'ingresso dell'appartamento dello Scrittore era socchiusa ed era pertanto curioso di rivedere quello stesso uomo che l'aveva precedentemente lasciato perplesso. Bussò piano alla porta, attendendo una risposta. Sbirciando dalla fessura, tuttavia, intravide una lettera riposta su un tavolino accanto all'ingresso. Aprì leggermente la porta, tanto quanto basta per capire che quella lettera, sorprendentemente, era indirizzata a lui. “Ad Edoardo, per piacere leggila in solitudine, nessun altro potrebbe comprendere”. Il ragazzo fu ovviamente incuriosito e la prese, ma non ebbe il coraggio di leggerla lì su due piedi. Sentì che in qualche modo quella lettera richiedeva più tempo ed attenzione. La cacciò frettolosamente in tasca e tornò nel suo appartamento.
Ho appena telefonato, le nostre pizze saranno pronte tra un quarto d'ora, passi tu a prenderle? È la solita pizzeria, quella in fondo alla strada!” intonò una voce dalla cucina.
Certamente. Già che devo uscire vado subito così sbrigo un attimo delle faccende, ti fa niente?” chiese Edoardo, senza aspettarsi una vera risposta.
Ehm sì, okay. Ma cosa devi fare?”
Non preoccuparti, tornerò con le nostre pizze non appena saranno pronte” e con queste parole uscì chiudendo la porta dietro di sé. Con le mani in tasca, scese le scale in tutta fretta e si diresse verso l'esterno, possibilmente in un posto appartato, come i giardini di sera. Per tutto il tragitto continuò a tenere stretta in mano la lettera nella sua tasca, un po' per essere sicuro di non perderla, un po' perché era troppo curioso di leggerla. Arrivato alla sua solita panchina, si sedette e tirò fuori la lettera, che così recitava.

Caro Edoardo,
Sono consapevole di non far parte del tuo grande cerchio di conoscenze e amicizie di dubbio senso, ma alla fine di questa lettera capirai perché io mi sia permesso di scriverti in tono confidenziale queste righe e spero che così avrò assolto, una volta per tutte, al mio compito. È ben strano leggere di una persona con cui non ci si è mai scambiati parole di persona, ma ti invito ad accogliere a braccia aperte questi neri caratteri su sfondo bianco. Devi sapere che vivo da anni nell'appartamento accanto al tuo e tutto questo tempo, in un certo senso, mi permette di fare le seguenti considerazioni sulla tua vita.

La gioventù è ben lontana da te, è tempo che tu te ne accorga. Continui a vivere nella tua gabbia d'oro con una persona con cui pensi di condividere la tua vita, ma tutto ciò che fai è concederle dello spazio e dell'ossigeno nel tuo lussuoso appartamento da borghese. Tra di voi manca l'intesa spirituale che proclami con tanta certezza, nulla di ciò che ritieni sia veritiero rispecchia effettivamente la realtà. Vivere non è facile, è ora di aprire gli occhi. Il denaro ti deriva immeritatamente da un lavoro che non potrebbe in alcun modo essere prodotto tuo, come una sorta di zampillo indesiderato che annaffia il tuo terreno. Tu lo accetti passivamente, non opponi resistenza; come ci si può, d'altronde, mettere contro ciò che pare fluire naturalmente? Perché contrastare l'automatismo? È questo un sintomo di grande debolezza. La gioventù, come dicevo, sta lasciando spazio ai gelidi venti dell'età adulta, che, prima che tu riesca a comprenderlo, raseranno a zero il tuo tiepido riparo familiare per poi spogliarti dei tuoi vestiti borghesi. È il conflitto primordiale tra l'alfa e l'omega, tra l'uomo e il lupo, tra l'età dell'innocenza e l'età dell'esperienza. Presto ti guarderai allo specchio e desidererai ritornare bambino. Qualcosa in te sta iniziando a crollare e questo è proprio un sintomo della malattia dell'età adulta. Quel raggio di sole, la primavera, il mattino, la routine, nulla è stato per caso, nemmeno il fortuito incontro sul pianerottolo che collega i nostri due appartamenti. Neppure questa lettera, come vedi, è casuale. Cerchi continuamente un vago rinnovamento, della vana varietà, nella speranza di ricostruire quella sicurezza fisica e spirituale che vedi cadere a pezzi ogni giorno. Il tuo viso, la tua identità, il tuo carattere si sta sfaldando. È tempo di abbandonare questo attaccamento ossessivo ai propri principi per adagiarsi placidamente sul fondo di una barca che è in rotta di collimazione. Il capitano, in fondo, si dice debba sempre morire con la propria nave.

Questa non è una lettera di condanna, il mio intento e compito è ben altro. Sono una persona riservata, schiva, che alle patetiche chiacchiere d'oggigiorno preferisce gli antichi e solenni caratteri impressi nella carta. L'inchiostro di sua stessa natura ha la capacità di restare laddove si è posato, contrariamente alle nostre parole. Attraverso la scrittura, questa splendida arte, cerchiamo di dare sostanza eterna a ciò che altrimenti verrebbe portato via dal vento del cambiamento. Come intuirai, noi due siamo simili, in questo aspetto: tu cerchi di far attraccare la tua nave in un porto sicuro, io mi sforzo di dare un carattere meno patetico a tutto ciò che viene smarrito ogni giorno. Questo è il mio compito, non quello di raccontare della mia vita, ma di plasmare il mondo attraverso la mia penna, di renderlo uniforme, sensato e coerente. Non esiste compito più umano, in questo senso. Proprio per questo, rinuncio al mio stesso nome di battesimo, da tempo smarrito, in favore invece di ciò che faccio. Sono lo Scrittore, come voi d'altronde mi chiamate già da tempo, e per questo vi ringrazio. Per una volta, noto che l'ignoto ha assunto una forma a lui consona. Dopo essermi presentato, posso finalmente portare a termine il mio compito.

Quella che tu consideri la tua fidanzata altro non è che un macabro tentativo di riflettere te stesso. In lei vorresti sempre contemplare la tua stessa immagine perché non saresti in grado di accettare null'altro. Io stesso sono una tua proiezione, una figura indissolubilmente legata al tuo modo di vedere e concepire la realtà. Lei soddisfa la tua ambizione, il tuo desiderio di fama, di gloria, la tua necessità di indirizzare verso qualcosa di vago e futile il denaro che ti ritrovi in tasca. Io, d'altra parte, non posso esimermi dal fungere, per questa prima e ultima volta, da figura autoritaria e paterna. Siamo simili, come ti ho detto, ma tra di noi ci sono differenze sostanziali. Lo Scrittore non è altro che un raggio di sole primaverile che si insinua furtivamente tra i tuoi fitti tendoni nella tua pacata e vacua mattinata; un pensiero persistente che ti martella, come un trapano che persevera nel far breccia in un solido muro di mattoni. In altre parole, incarno quell'idea che stai accarezzando da tempo. È giunta l'ora di ascoltare le voci nella tua testa, Edoardo.

Tuo per sempre,
lo Scrittore

Il ragazzo alzò lo sguardo al cielo, si accasciò a terra, nulla poteva ormai aiutarlo, era troppo tardi. Gli alberi intorno a lui iniziarono a ripiegarsi, ad opprimerlo con le loro immense fronde; le case in lontananza si gonfiavano, raggiungevano il limite e poi esplodevano; il terreno sotto i suoi piedi era inconsistente, malleabile, insicuro; il suo corpo non gli rispondeva più, il respiro affannoso, gli occhi gonfi di lacrime, il cuore non riusciva a contrastare la gabbia all'interno della quale era stato stipato. Improvvisamente, tutto crollò. La realtà l'aveva inghiottito.
Al suo risveglio, Edoardo ebbe pochi minuti. Giusto lo stretto necessario per comprendere che era davvero successo, la vita l'aveva davvero inghiottito, il peso che si sentiva sul petto esisteva davvero, niente era stato per caso. Gli mancavano le forze per vivere. Il giorno successivo, tutti i giornali riportavano l'accaduto, spacciandolo per un decesso per cause naturali. Ancora una volta, la voce trionfava sulla parola.

Ragazzo di 24 anni trovato morto in un parco in città. I medici legali non hanno trovato nessuna ferita mortale, perciò si pensa a cause naturali. Il ragazzo viveva in un appartamento da solo, finanziato dal padre poiché impossibilitato a lavorare. Un'altra vittima dei nostri tempi.”

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