venerdì 6 maggio 2016

Adolf Hitler e il Male




Dopo aver visto il film dal titolo Lui è tornato, ho pensato di buttare giù qualche considerazione personale sul tema. Come probabilmente molta gente avrà capito dal trailer, il film esplora la possibilità che Adolf Hitler si risvegli nel 2014 direttamente sopra al bunker in cui si era suicidato nel ’45 e che divenga presto oggetto di un documentario nonché di un programma televisivo.

Chiunque abbia studiato la letteratura tedesca del secondo Dopoguerra saprà che la Germania ha avuto parecchia difficoltà a superare quel capitolo nero della sua storia, tant’è che anche oggi il nazismo è spesso considerato un tabù e non è, come accade per esempio per il fascismo in Italia, oggetto di satira o ironia. In tedesco, oltretutto, esiste una parola che sta a rappresentare l’obiettivo di superare il passato – e nello specifico quel passato: Vergangenheitsbewältigung. Dal 1945 in poi, questo concetto è stato esplorato da diversi scrittori tra cui Thomas Mann (e la sua famiglia di scrittori in generale) e Günter Grass, tanto per citare due premi Nobel per la letteratura. Mentre il secondo esplorava i tempi del nazismo – e non solo – tramite il genere del romanzo storico (si veda, per esempio, il celebre Tamburo di latta), il primo ragionava su questa funerea parentesi nella storia dell’impero tedesco riprendendo, tra le altre cose, la storia del Faust e riadattandola in forma romanzata. Peraltro in questo testo, dal titolo appunto Doktor Faustus (Dottor Faustus in italiano), Thomas Mann suggerisce, attraverso un parallelismo con un personaggio, che la Germania abbia fatto un patto col diavolo, col male assoluto, scegliendo Adolf Hitler come cancelliere nel 1933. Il tema del Faust, ossia quello del patto col diavolo per accedere all’onniscienza e alla totalità della vita in tutte le sue sfaccettature, viene qui pertanto declinato in un’ottica storico-culturale per fare luce sul male che si impossessava di quel Paese dei poeti e dei pensatori (das Land der Dichter und Denker) e lo tramutava in un Paese dei giudici e dei boia (das Land der Richter und Henker, notare l’assonanza in tedesco).



Il film Lui è tornato (in tedesco, Er ist wieder da), tratto dall’omonimo romanzo di Timur Vermes del 2012, pur presentando spezzoni dal lampante umorismo tipicamente tedesco, propone anche una serie di spunti interessanti, per quanto non inediti. Affascinanti sono gli spezzoni girati come una sorta di esperimento sociale in cui un attore impersona Adolf Hitler e si confronta con l’attualità e in particolare con i problemi rilevati e messi in evidenza da una fetta consistente della popolazione. In queste scene, gli attori si espongono ad un pubblico genuino, sincero, che non manca di aprirsi a considerazioni razziste e populiste. Colui che si assume essere l’ex dittatore è certo molto bravo ad incoraggiare le persone a dare sfogo ai propri pensieri e al proprio malcontento e non manca, in alcune occasioni, di mettere in evidenza la crisi politica e valoriale subita dalla Germania e, con lei, dall’Europa se non dal mondo intero. Problemi come i recenti flussi migratori e l’antipolitica vengono additati da lui, quel mancato pittore definito ironicamente da Bertolt Brechtl’imbianchino” (der Anstreicher, in tedesco), con una retorica invidiabile che fa certamente leva sulla frustrazione di una buona parte della popolazione tedesca.

La sua dialettica emerge immediatamente accanto alla sua capacità di adattarsi alla nuova realtà del secondo decennio del ventunesimo secolo e sono precisamente queste due qualità a garantirgli un successo virale nella società dei mass media. Le parti effettivamente recitate e orientate al dispiegamento di una narrativa vera e propria, infatti, ritraggono Hitler come un nuovo fenomeno tanto divertente quanto caustico e sagace. Ben presto colui che si assume essere solamente un impersonatore dell’ex dittatore fa breccia nel mondo della televisione nonché nella quotidianità del popolo tedesco. Il personaggio principale che scopre per primo questo nuovo fenomeno e che lo accompagna in giro per la Germania in una serie di avventure, appunto, genuine, è l’unico che effettivamente realizzi che quella persona che non esce mai dal proprio ruolo è veramente il mancato pittore di origine austriaca e questo gli crea, come ci si può aspettare, un crollo di nervi e la perdita della sanità mentale. Senza dare troppo spazio a spoiler, che comunque in questo film hanno poco da rovinare, citerò solamente a cosa arriva questa nuova pellicola. Conclusione di Lui è tornato è infatti che Hitler, in quanto incarnazione del Male, è un fenomeno quasi endemico, imprescindibile dall’esistenza quotidiana di qualsivoglia individuo. Questo male, pertanto, altro non è che una parte significativa di noi stessi, il che mi riporta alla mente una scultura che vidi un paio d’anni fa all’Ashmolean Museum di Oxford: “Teseo e il Minotauro” (1942) dello scultore lituano Jacques Lipchitz.




Secondo quanto raccontato dall’artista stesso, all’inizio egli intendeva rappresentare l’orrore della guerra e la lotta, in particolare, tra Hitler-minotauro e De Gaulle-Teseo. Il punto focale iniziale era in gran parte quello della fuga e del salvarsi da un male incombente – anzi, di fatto già manifesto – poiché egli, in quanto ebreo, era preoccupato dalla minaccia dell’imbianchino in Europa. Tuttavia, con l’evoluzione del concetto e, con esso, della scultura stessa, egli realizzò che di fatto i due personaggi in lotta fanno parte l’uno dell’altro: Teseo sta lottando non solo contro il Minotauro, ma, di fatto, contro una parte di sé stesso.


Allo stesso modo, Lui è tornato sottolinea quest’appartenenza di Hitler non solo alla storia tedesca e al suo sviluppo, ma anche e soprattutto allo spirito tedesco dal 1945 in poi. Il tentativo di affrontare quel funesto passato coincide con la lotta di Teseo per sconfiggere una parte di sé. Guardato da una prospettiva più vasta, il Male e l’umanità sono imprescindibili l’uno dall’altra e l’arte ci convince molto spesso che possiamo individuare un Minotauro e distaccarlo da noi, ma nel momento in cui pensiamo di essercene liberati noteremo invece che qualcosa è rimasto, che “lui è tornato”.

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