Quanti
uomini si sono ritrovati sotto la volta stellata a riflettere, a passeggiare, a
scaldarsi attorno ad un fuoco attendendo che la notte passasse. Quante storie
ha conosciuto quell’entità che ci osserva da lassù, quanti abbozzi, quante
cancellature, quanti equilibri precari ha scrutato attraverso questa immensa
distanza.
Questo
bosco rumoreggiante mi circonda; in lontananza, il quieto scrosciare di un
fiume accompagna il canto della notte. In alto, appesa, sta la luna, con la sua
luce fioca di giorno e brillante nelle ore più buie. Tutte intorno a lei delle
stelle, distanti, rimangono conficcate in questo manto di un blu oscuro, opaco,
inscrutabile. Le loro luci paiono ora disegnare un volto femminile riflesso in
una finestra, ora una carrozza in fuga attraverso la città, ora ancora una
stazione affollata.
Il
primo, crucciato, osserva l’orizzonte inarrestabile distendersi davanti al suo
sguardo. La giovinezza è ancora florida in questa acerba ragazzina che indossa
abiti da donna. Il suo matrimonio è caduto in rovina e si ritrova a fare i
conti con spettri domestici che non sa come approcciare. Pensa alla sua svanita
progenie, che non la riconosce, che è stata addestrata a non mostrarle più
l’affetto di un tempo. Là fuori, gli sguardi si voltano su di lei per poi
cercare altri soggetti d’interesse nel momento in cui lei avvicini un dialogo. La
sua vita in società si è rivelata breve, pertanto torna in quell’eterno
rifugio, l’infanzia, così ben condensato in quell’altalena ormai logora che
scricchiola in giardino. Non è più tempo di svaghi bambineschi. La commozione,
talvolta in un’eruzione disperata, talaltra sofferta in solitudine, le riga il
volto.
Una
carrozza, nel frattempo, fugge in tutta fretta tra le strade della provincia.
La passione la irradia, l’ansimare di due corpi vestiti in abiti socialmente
opportuni gonfia l’ossigeno di segreti che fanno tremare le labbra di qualsiasi
donna. La mente di lei è popolata da personaggi fittizi, da prìncipi stranieri
che la portano in reami dipinti coi colori dell’immaginazione. Le sue labbra
rilasciano già l’odore di inchiostro che diventerà la manifestazione della sua
condanna. In questa carrozza, in questo momento del giorno, in questo preciso hic
et nunc si trova lei mentre maneggia le redini di un atto che finirà nel
solito modo, e mai in quello sperato. La sua mente prospera nell’anticipazione
del futuro, ma arranca in quel tumultuoso torrente tra presente e passato. A
casa, un marito ingenuo la attende; una figlia poco amata cerca l’affetto
materno in sogni tanto distanti dalla realtà; la madre, intanto, si aggiusta il
vestito, amareggiata dall’eterno riaffiorare di desideri di appartenenza ad un
altrove fittizio.
In
stazione, la folla, incredula, si avvicina a dei binari bagnati da sangue
adultero. Le parole si perdono in un tumulto di rumori indistinti. Gli sguardi
stentano a raccogliere ciò che rimane di una donna che ha strofinato la purezza
del matrimonio con un panno mal ridotto. I gesti, giudici che hanno scritto la
condanna su una fronte ormai inesistente, perdono ogni significato davanti
all’atrocità della morte spontanea. Lembi di pelle avvizziti dall’eccessiva
violacea preoccupazione ricoprono dei freddi, inermi binari, inadeguati ad
ospitare nel loro grembo la sacralità di una vita socialmente mal spesa.
Congetture riempiono il silenzio generato da un atto estremo che la società
stenta ad osservare. Il vociare continua, stavolta al centro del palco, mentre
in lontanza rimane, offuscata, la presenza di una donna consumata dalla gelosia
e da un amore sanguinante.
Tre
donne, tre destini, tre stelle impareggiate in questa volta lucente. Loro là
sopra, io qua, sola, mentre contemplo le loro storie ben conosciute. Le braci
ardono, ma ancora per poco. Questo maestoso albero riflette la luce calda davanti
a me, mentre lassù il grande gelido blu paralizza l’aria. La mia mente rimane
sospesa a mezz’aria, non si risolve di raggiungere quegli astri così distanti,
ma si rifiuta di restare ancorata a questa terrena esistenza. Così resto a
contemplare vite altrui, fittizie, appartenenti ad un passato che non è mai stato,
senza poterle raggiungere. Poco importa, in fondo, se rimango tra narrato e vissuto,
tra immaginazione e realtà. Questa selva oscura mi ricorda immancabilmente
l’asprezza del vivere; attraverso questa mi proietto nella contemplazione di
vicissitudini che non potrebbero in alcun modo appartenermi, se non in quanto
narrate. Così mi preparo ad un nuovo vivere, ad un nuovo narrare a me stessa
ciò che accade. I protagonisti sono del tutto indifferenti: Effi, Emma, Anna,
Crampas, Léon, Vronskij. Mio marito, che dorme nella tenda, ignaro della mia
assenza. I miei figli, abbracciati dal soporifero manto della notte in quel
posto che chiamano casa. L’amante, abbandonato nel bosco del peccato, nel buio dell’adulterio.
La traditrice, l’adultera, che contempla storie parallele e si crogiola in
sentimenti tanto simili quanto distanti.
Una
folata di vento gelido mi soffia sulla schiena, l’oscurità mi arpiona le
interiora, del caldo sangue scuro mi ricopre come velluto rosso. Le mie mani si
avvicinano alle braci ardenti per trarne energia e calore, il mio corpo si
raccoglie in una sfera di carne per ripararsi da questa asprezza che mi
circonda. Un singhiozzo irrompe nel silenzioso canto notturno, mentre piccole,
pallide perle scavano il mio viso. L’opacità del mio volto diventa trasparenza,
le mie colpe si districano dalle mie scapole e mi aleggiano ora intorno come
personaggi di romanzi ottocenteschi. Le braci vengono calpestate, oppresse,
soffocate. Le mie mani si ritirano spaventate, mi coprono il viso con un velo
di carne infreddolita, mentre davanti a me le ombre delle mie azioni improvvisano
un’esibizione grottesca.
Una
mano ossuta, scheggiata di artigli affilati, allunga la sua ombra sulla mia
nuda nuca. Percepisco il freddo della sua vicinanza, anticipo il leggero
graffio delle sue unghie sulla mia debole pelle, rabbrividisco al sol pensiero
della violenza che potrei subire. Il mio cranio, attanagliato da una forza
razionalmente inconcepibile, si solleva repentinamente: nel mio campo visivo si
dipana l’indifferenza in molteplici forme. Il bosco, stoico spettatore del mio
peccato, rimane quieto, opaco, oscuro. La portatrice di consigli mi avvolge in
una consapevolezza nuova, finora solamente osservata tra gli astri: “L’adultère,
c’est moi”.