domenica 13 aprile 2014

L'alienazione dell'individuo nella società (post)moderna

Giusto l'altro giorno mi è ricapitata sotto mano la mia tesina dell'anno scorso e, rileggendola, mi sono quasi meravigliato di quanto impegno ci abbia messo nel redigerla. In particolare, ho apprezzato l'introduzione, che qui ripropongo. L'argomento da me scelto era, proprio come dice il titolo di questo post, L'alienazione dell'individuo nella società moderna. Con il senno del poi, l'introduzione verte, in parte, sulla condizione della società postmoderna. Ecco quindi l'introduzione, nella speranza che possa risultare interessante almeno per qualcuno di diverso dal mio ego.

INTRODUZIONE

L'estate scorsa ho letto il romanzo “Tempi difficili” di Charles Dickens e, senza avere conoscenze approfondite né dell'autore né tantomeno del contesto all'interno del quale scrisse i suoi romanzi, rimasi affascinato da quel fenomeno di massificazione e perdita di individualità che fece seguito a quel complesso processo di industrializzazione che toccò l'Europa del XIX secolo, in primo luogo l'Inghilterra, poi la Francia e successivamente anche gli altri paesi. Alla fine dell'anno scorso avevamo studiato questo fenomeno in storia, ma non avevamo avuto il tempo di soffermarci sulle modalità in cui questo si declina all'interno della società. Leggendo Dickens, mi trovai di fronte ad un grande universo di personaggi alienati e scevri di qualsivoglia caratteristica umana: alle persone si sostituivano le macchine e a degli allievi autonomi ed indipendenti si preferivano degli studenti pieni di nozioni e fatti piuttosto che liberi di interpretare ciò che li circondava. Insomma, il mondo, nella società vittoriana dell'epoca, altro non era che un punto di partenza, un qualcosa di oggettivo ed imprescindibile che non si poteva interpretare né cambiare, in quanto ogni possibile forma di rivoluzione o anche solo di variazione veniva soffocata dal paesaggio brullo che dominava questo secolo.
Dal punto di vista filosofico, iniziai quindi ad informarmi sul concetto di “lavoro alienato” proposto da Marx verso la metà del secolo, in particolare leggendo degli estratti dei “Manoscritti economico-filosofici” del 1844 e sforzandomi di comprendere i vari punti della teoria marxiana. Chiedendo poi aiuto al professore di filosofia, leggendo un libro da questo consigliatomi e seguendo le sue lezioni in proposito, iniziai ad approfondire le mie conoscenze in materia di alienazione, collegando poi la teoria marxiana a quelle precedenti che ne avevano poste le basi. Trovai geniale ed estremamente attuale la formulazione di Marx, il che mi spinse ad approfondire ulteriormente questo tema.
Nel corso dell'anno, ci siamo poi avvicinati al Novecento, secolo in cui molti intellettuali risentirono del peso dei primi due grandi confitti mondiali e riuscirono a rendere, nelle loro opere, quell'atmosfera alienante che pervadeva la società moderna. Riguardo a questo, ho letto, su consiglio della professoressa di tedesco, il racconto “La sentenza” di Franz Kafka e il romanzo “La metamorfosi” dello stesso autore, ma ho preferito soffermarmi sul primo in quanto, a mio avviso, decisamente più denso ed interessante nonostante la maggiore brevità del testo. Non avendo studiato letteratura tedesca in quanto non contemplata dal programma, mi sono informato da solo su Kafka e sul suo mondo e ho cercato di elaborare una mia propria tesi e un mio punto di vista personale sul racconto sopraccitato. Infine, affascinato dall'esistenzialismo e avendo letto qualcosa di questa grande corrente, ho voluto approfondire le mie conoscenze attraverso la lettura di un'opera teatrale, “A porte chiuse” di Sartre, in cui ho trovato il concetto esternato dalla famosa espressione “L'inferno sono gli altri” estremamente interessante e rappresentativo dei rapporti odierni e, più in particolare, dell'alienazione che sta alla base di questi.
Ciò che davvero mi ha colpito di questo grande fenomeno è il suo essere definito in molteplici modi sulla base del contesto storico all'interno del quale è inserito. Chiaramente, questo processo inizia a comparire, in letteratura come in filosofia, verso la metà del XIX secolo – si pensi ai Manoscritti parigini di Marx o alla produzione di Dickens – , ossia nel momento in cui l'Industrializzazione ha ormai preso piede in tutta Europa: il lavoro manuale diventa meccanizzato, l'operaio viene ridotto ad una mera appendice della macchina, vengono introdotti il Taylorismo e il Fordismo, che rendono il lavoro operaio sempre meno qualificato e qualificante e sempre più meccanico e ripetitivo al fine di sfruttare al meglio la produttività umana, chiaramente causando, in tutto ciò, un depauperamento del mondo umano. Successivamente, con l'inizio del nuovo secolo e la minaccia di un primo grande confitto mondiale, gli intellettuali rompono con la tradizione, nasce il Modernismo, una tendenza, più che una corrente vera e propria, che si basa su alcune grandi teorie che rivoluzionano il sapere scientifico e mettono in crisi il sistema di valori esistente, quali, per esempio, la psicoanalisi freudiana, il relativismo di Einstein e la concezione di tempo soggettivo di filosofi come Bergson e James. Tutto questo confluisce in alcune grandi opere di cui “La terra desolata” di T. S. Eliot è senza dubbio la più rappresentativa: l'alienazione è la perdita di individualità dovuta alla massificazione della società, è la crisi di quei valori puri e immacolati che caratterizzavano le forme di vita primitive, lo smarrimento dell'uomo moderno, che perde di vista se stesso per essere incanalato in fiumi di gente e che non può più trovare quel principium individuationis che lo contraddistingue da tutti gli altri. In questo contesto, persino la famiglia, un tempo luogo sacro in cui l'individuo poteva realizzarsi appieno, si trasforma in un insieme di rapporti costrittivi che limitano l'individuo e lo sottomettono a delle figure padronali, quali quella del padre in Kafka, ravvisabile sia ne “La metamorfosi”, sia ne “La sentenza”. Non esiste più un'unità né tantomeno un insieme di valori comunemente condivisi e ciò è ravvisabile nella produzione di Luigi Pirandello, il quale sottolinea come ognuno percepisca la realtà secondo un sistema di valori autonomo e come, oltretutto, ogni individuo venga cristallizzato, all'interno della società, da forme fisse quali il lavoro e la famiglia, che altro non sono che delle mere maschere che mancano perciò di comunicare la totalità dell'individuo in quanto tale. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, poi, la risposta delle ormai élites intellettuali ad una sempre più ampia crisi di valori è la postulazione dell'assurdità dell'esistenza, come si verifica, per esempio, nel teatro dell'assurdo e nell'Esistenzialismo. I regimi totalitari hanno privato la massa del loro potere politico, arrivando a manipolarla attraverso i mass media e facendo sì che la “malattia” del consenso - che Ionesco definisce “rinocerontite” nella sua rinomata pièce “Il rinoceronte” del 1959-60 – dilagasse all'interno di una società sempre più alienata ed alienante. Parafrasando esistenzialisti quali Albert Camus e Jean-Paul Sartre, bisogna prendere coscienza dell'assurdità dell'esistenza, della sua totale mancanza di un senso, e da qui sviluppare una risposta positiva a questo universo di negatività. Le risposte possono essere molteplici, ma quelle che i due autori propongono sono, rispettivamente, l'impegno sociale e l'impegno politico-intellettuale.
Gran parte di questi temi sono chiaramente attuali e toccano anche la società odierna: con l'avvento dei social networks, tendiamo, soprattutto noi giovani, ad essere sempre più isolati dalla società nella quale ci troviamo e allo stesso tempo siamo anche alienati, proprio in quanto tendiamo a determinare noi stessi in base a ciò che gli altri dicono di noi, di fatto sostenendo la tesi di Sartre. Gli altri sono diventati imprescindibili e le nostre azioni sui social networks non possono che confermarlo: condividiamo deliberatamente su internet parti della nostra vita per far sì che gli altri si accorgano della nostra esistenza, magari ci stimino o invidino, senza renderci conto di questo automatismo, perché ormai è considerato come dato e impossibile da cambiare. La nostra alienazione raggiunge livelli paradossali: se nella celeberrima distopia orwelliana il protagonista Winston Smith cerca in ogni modo di evitare gli occhi del Partito, oggi pare che siamo noi stessi a metterci, di nostra propria volontà, pubblicamente in vista sul web, privandoci del diritto alla privacy a cui tanto teniamo. Insomma, se da una parte sono lontani i “Tempi difficili” di cui parlava Dickens nel 1854, dall'altra tutto ciò che mi son proposto di approfondire in questa tesina non può che toccarci nel nostro io più profondo, perché, evidentemente, ci riguarda ancora oggi ed è proprio per questo che ho deciso di trattare questo argomento.







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Se, da una parte, mi rendo conto di questa tendenza e la condanno, dall'altra non posso che trarne beneficio. Sono pienamente consapevole del fatto che questa alienazione, questo proiettare se stessi sugli altri e viceversa, riguardi anche e soprattutto me e riconosco che questo blog nasce e prende le mosse proprio da questo specifico contesto e non da un altro. D'altronde, l'imprescindibile unità tra individuo e società fu postulata già nel 1894 in un'opera — tanto cara alla germanistica — dal titolo "Effi Briest" di Theodor Fontane. Spero di chiarire il concetto citando uno dei personaggi, il barone von Innstetten, che si trova obbligato a cedere a delle leggi imposte da altri, in quanto si trova costretto ad affrontare in un duello l'uomo con cui sua moglie, la protagonista da cui il romanzo prende il titolo, aveva avuto una relazione segreta al di fuori del matrimonio molti anni prima. Così risponde Innstetten a Wüllersdorf, suo caro amico a cui spetta il compito di informare il diretto interessato del duello ed assistervi.
[Wüllersdorf] »[...] Aber wenn Sie so zu der Sache stehen und mir sagen: ›Ich liebe diese Frau so sehr, dass ich ihr alles verzeihen kann‹, und wenn wir dann das andere hinzunehmen, dass alles weit, weit zurückliegt, wie ein Geschehnis auf einem andern Stern, ja, wenn es so liegt, Innstetten, so frage ich, wozu die ganze Geschichte?«
[Innstetten] »Weil es trotzdem sein muss. Ich habe mir's hin und her überlegt. Man ist nicht bloß ein einzelner Mensch, man gehört einem Ganzen an, und auf das Ganze haben wir beständig Rücksicht zu nehmen, wir sind durchaus abhängig von ihm. Ging' es, in Einsamkeit zu leben, so könnt ich es gehen lassen; ich trüge dann die mir aufgepackte Last, das rechte Glück wäre hin, aber es müssen so viele leben ohne dies ›rechte Glück‹, und ich würde es auch müssen und auch können. Man braucht nicht glücklich zu sein, am allerwenigsten hat man einen Anspruch darauf, und den, der einem das Glück genommen hat, den braucht man nicht notwendig aus der Welt zu schaffen. Man kann ihn, wenn man weltabgewandt weiterexistieren will, auch laufen lassen. Aber im Zusammenleben mit den Menschen hat sich ein Etwas ausgebildet, das nun mal da ist und nach dessen Paragraphen wir uns gewöhnt haben, alles zu beurteilen, die andern und uns selbst. Und dagegen zu verstoßen, geht nicht; die Gesellschaft verachtet uns, und zuletzt tun wir es selbst und können es nicht aushalten und jagen uns die Kugel durch den Kopf. [...] Also noch einmal, nichts von Hass oder dergleichen, und um eines Glückes willen, das mir genommen wurde, mag ich nicht Blut an den Händen haben; aber jenes, wenn Sie wollen, uns tyrannisierende Gesellschafts-Etwas, das fragt nicht nach Charme und nicht nach Liebe und nicht nach Verjährung. Ich habe keine Wahl. Ich muss
[Wüllersdorf] »[...] unser Ehrenkultus ist ein Götzendienst, aber wir müssen uns ihm unterwerfen, solange der Götze gilt

[Wüllersdorf] "[...] Ma se la Vostra posizione è questa e mi dite: 'Amo questa donna così tanto che posso perdonarle tutto', e se poi consideriamo che tutto ciò è successo molto, molto tempo fa, come se fosse un avvenimento su un altro pianeta, sì, se le cose stanno così, Innstetten, Vi chiedo, a che pro tutta questa storia?"
[Innstetten] "Perché è tuttavia necessario. Ci ho riflettuto molto. Non siamo soltanto degli uomini singoli, apparteniamo ad un tutto a cui dobbiamo sempre fare riferimento, poiché dipendiamo totalmente da esso. Se si potesse vivere in solitudine, allora potrei lasciar correre; porterei il mio peso, la vera felicità se ne sarebbe andata, ma ci sono così tante persone che devono vivere senza la 'vera felicità', e dovrei e potrei farlo anch'io. Non c'è bisogno di essere felici, e tantomeno si ha il diritto alla felicità, e colui il quale tolga ad un altro la felicità non deve necessariamente essere ammazzato. Se si vuole vivere appartati dal mondo, si può lasciar correre. Ma nella convivenza con gli uomini si è formato un Qualcosa che semplicemente c'è e secondo i cui paragrafi siamo ormai abituati a giudicare tutto, gli altri e noi stessi. E opporsi a questa legge è impossibile; la società ci disprezza, e infine lo facciamo anche noi stessi, non ne possiamo più e ci cacciamo una pallottola in testa. [...] Allora ancora una volta, non ha niente a che fare con l'odio o cose simili, né con una felicità che mi è stata tolta, non è per questo che voglio sporcarmi le mani di sangue; ma, se volete, quel Qualcosa tirannico, creato dalla società, non conosce fascino, amore e prescrizione. Non ho scelta. Devo."
[Wüllersdorf] "[...] il nostro culto dell'onore è un'idolatria, ma dovremo sottometterci a ciò fintanto che l'idolo vivrà."
In altre parole, la società funziona in questo modo, il nostro compito è riconoscerlo e comprenderlo, esplorare le possibilità che abbiamo e poi scegliere il nostro percorso personale, a mio avviso ancora possibile nonostante tutto. Il mio è quello di utilizzare questa stessa alienazione per divulgare, per risvegliare magari qualche coscienza. Il resto si vedrà.

7 commenti:

  1. ciao mi ha colpito molto questa tua introduzione, e dato che volevo fare anch'io una tesina sull'alienazione ti volevo chiedere quali argomenti avevi collegato? grazie in anticipo.

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    1. Hey!
      Io ho fatto un linguistico e avevo le lingue esterne, quindi ho preferito partire da filosofia, spiegando il concetto di alienazione in Hegel, Feuerbach, e Marx (che trovi anche su questo blog), poi son passato a "Hard Times" di Dickens per inglese, poi "Das Urteil" ("La sentenza") di Kafka, e infine "Huis clos" ("A porte chiuse") di Sartre. I riferimenti che trovi nell'introduzione (e nel resto del post) vogliono essere degli stimoli per chiunque stia pensando ad una possibile tesina su un argomento simile, sentiti libero di trarre spunto!

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    2. quindi hai praticamente portato due materie?
      io faccio un istituto tecnico con 3 lingue, di cui due esterne, e la terza, tedesco, non la portiamo agli esami, dato che è la terza lingua. avevo intenzione di portare pirandello o il romanzo distopico (1984 o Fahrenheit 451) o tutti e due, in storia la seconda rivoluzione industriale, la nascita delle metropoli e la sostituzione del lavoro manuale a favore di quello robotizzato, come film metropolis del 1926, e in arte munch e die brucke.
      ti sembrano collegamenti coerenti?
      grazie ancora comunque!
      P.s. è piaciuta la tua tesina?(giusto per sapere che effetto fa un argomento del genere :P)

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    3. No, ne ho portate quattro: filosofia, inglese, tedesco, e francese, in quest'ordine.
      La mia tesina è piaciuta molto alla commissione e la professoressa di tedesco esterna me ne ha chiesta una copia. Pirandello è una scelta azzeccata anche se abbastanza comune, il romanzo distopico può essere un'idea, ma anche questa molto comune, storia sicuramente funzionerebbe bene come introduzione, Metropolis è un bel film ma non banalizzarlo, per quanto riguarda arte Munch e die Bruecke mi sembrano un po' fuori dal resto. Cerca di fare un percorso, se proprio vuoi trattare di alienazione, e soprattutto evita quegli argomenti che i commissari si sentono dire ogni anno in diverse salse, altrimenti sicuro non saranno interessati alla tua tesina e non lascerà il segno.
      Detto questo, la tesina è comunque una parte minuscola della maturità, ma dipende tutto da quanto tempo vuoi dedicarci e quanto pensi che sia utile investirci degli sforzi se poi questi non vengono ricompensati. Io cercherei di pensare un minimo fuori dagli schemi, se proprio vuoi portare un argomento tanto quotato quanto questo. O cerchi di tracciarne lo sviluppo a partire dalla Rivoluzione Industriale fino al Novecento, oppure puoi concentrarti su un certo tipo di alienazione, come quello all'interno dei regimi totalitari (anche questo molto spesso banalizzato e piuttosto mainstream) o il senso di spaesamento tipico del primo Novecento, o ancora la perdità di individualità all'interno della società odierna, con collegati mass media e social networks.

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    4. pirandello pensavo di portarlo proprio perchè rientra nel programma, dato che tutti gli altri argomenti, tranne storia, non fanno parte del programma. pensavo che fare una tesina troppo extrascolastica produrrebbe il risultato opposto, ovvero quello di annoiare. perchè per te munch e die brucke sono fuori dal resto? per il resto non penso di dedicarci molto tempo alla tesina, dato che come hai detto tu è una minuscola parte della maturità.
      scusa per le molteplici domande.

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    5. Non saprei, dipende un po' dalla commissione. In arte l'Espressionismo può andare, ma mi pare un po' fuori dal contesto se si parla di Industrializzazione. Piuttosto non collegare arte e basta, tanto alla fine già fare anche solo tre materie ti dà abbastanza materiale da discutere all'orale. Per il resto, probabilmente i tuoi professori interni ti sapranno dire cosa preferirebbero loro, quindi ti rimando a loro e alle loro opinioni. Nessun disturbo, non ti preoccupare! :)

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    6. sì effettivamente hai ragione. potrei forse provare a sfruttare l'ampiezza della concezione del termine alienazione per collegarla, è pur sempre una critica all'indifferenza della borghesia capitalista. adesso vedrò che fare dai, comunque grazie infinite per l'attenzione!

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