venerdì 18 aprile 2014

Il concetto filosofico di alienazione in Hegel, Feuerbach e Marx

Nonostante la filosofia non risponda alle mie necessità più impellenti, trovo che formi delle ottime fondamenta per poi dare delle risposte a tutti i dubbi e le perplessità che ci possono colpire quando ci ritroviamo ad analizzare la realtà che ci circonda. Proprio in questo senso, nella mia tesina dell'anno scorso (sempre lei, sì) ho voluto — e in parte dovuto, visto l'argomento da me scelto — trattare del concetto filosofico di alienazione per poi analizzare come questa si declini in tre opere della letteratura europea (di cui ho già riportato qualcosa). Dal punto di vista filosofico, quindi, mi sono addentrato nelle formulazioni di tre diversi autori che abbiamo studiato durante l'anno, ossia Georg Wilhelm Friedrich Hegel (o Giorgio Guglielmo Federico, come lo chiamava il nostro prof), Ludwig (Andreas) Feuerbach e il benamato Karl Marx (per gli amici Carlo). La concezione di alienazione dell'ultimo di questi, in particolare, è estremamente interessante in quanto riguarda strettamente il Capitalismo (ma dai?). Riporto qui le tre paginette di filosofia contenute nella mia tesina, possibilmente aggiungendo delucidazioni riguardo a concetti a cui avevo solamente accennato, nella speranza che qualcuno possa trarne beneficio, ancora una volta, oltre al mio ego. Queste aggiunte verranno messe in rosso e possibilmente dopo un asterisco per non interrompere il filo del discorso. A seguire una breve conclusione. Buona lettura.



L'ALIENAZIONE
Il termine “alienazione” deriva dall'aggettivo latino alienus, a, um, che significa “altrui”. In primo luogo, questo vocabolo indica l'atto giuridico mediante il quale si cede ad altri soggetti una proprietà o un diritto su beni del proprio patrimonio.
Tuttavia, nel linguaggio filosofico, questo termine è venuto ad indicare, generalmente, un processo mediante il quale un soggetto cede una parte o la totalità delle sue caratteristiche distintive ad altri. L'alienazione venne esaminata, in particolar modo, da filosofi tedeschi del XIX secolo quali Hegel, Feuerbach e Marx. In questa tesina intendo soffermarmi in particolar modo sulla formulazione di quest'ultimo in quanto applica la nozione di alienazione ai rapporti produttivi del mondo capitalistico ed è pertanto di più ampio respiro rispetto ai due filosofi precedenti, sebbene questi abbiano posto le basi per lo studio marxiano del capitalismo come auto-alienazione dell'individuo.

Hegel: l'alienazione come momento positivo nel percorso dell'autocoscienza verso l'Assoluto
Hegel trattò di questo processo nella sua celebre “Fenomenologia dello Spirito” del 1807, più in particolare nell'ultima sezione di questa, intitolata “lo Spirito”. Dopo aver analizzato il percorso dialettico che porta alla nascita e alla rottura di alcune figure del sapere apparente, il filosofo tedesco arriva a definire l'alienazione come il momento necessario in cui l'uomo trova se stesso in una realtà altra da sé. Sostanzialmente, questo processo di Entfremdung o Entäußerung che dir si voglia consiste di due momenti: quello negativo, in cui l'autocoscienza proietta se stessa al di fuori di sé, in una realtà storico-naturale a lei autonoma; e quello positivo, in cui il soggetto ritorna a sé in quanto la realtà in cui si è alienata altro non è che il prodotto stesso della sua auto-alienazione. Scrive, infatti, Hegel:
“Ma a noi lo spirito ha mostrato di non essere né soltanto il ritrarsi dell'autocoscienza nella sua pura interiorità, né il mero calarsi di essa nella sostanza e il non-essere della sua diferenza; anzi ha mostrato di essere questo movimento del Sé il quale aliena se stesso e si cala nella sua sostanza e come soggetto tanto è andato da essa in sé e l'ha resa oggetto e contenuto, quanto toglie questa diferenza dell'oggettività e del contenuto.”
[“La Fenomenologia dello Spirito”, pag. 301]

In altre parole, l'autocoscienza, ponendo se stessa come oggetto e avendo pertanto superato l'alterità dell'oggetto, nel suo essere-altro è presso di sé in quanto la realtà storico-naturale altro non è che una sua figura, una sua auto-alienazione. Pertanto, se il soggetto diviene consapevole che il prendere come punto di riferimento una realtà concepita come sovrastante, alienandosi in una certa misura in essa, è proprio ciò che gli consente di esprimere il suo essere più intimo e proprio, allora la storia delle sue alienazioni gli appare come la sua stessa crescita spirituale e, di conseguenza, l'alienazione viene concettualmente soppressa e superata dall'autocoscienza.

*Questo concetto viene applicato da Hegel stesso in una parte precedente della Fenomenologia, rendendolo qualcosa di più sensato di una mera speculazione filosofica. Nella nota dialettica servo-padrone, infatti, è possibile osservare come questa idea si declini all'interno della realtà. Spiega infatti Hegel che se supponiamo che effettivamente esista quello che lui chiama il Regno animale dello Spirito, ossia un contesto all'interno del quale ogni autocoscienza deve lottare per la propria sopravvivenza poiché ognuna di esse è spinta da interessi prettamente egoistici — come sosteneva Thomas Hobbes con la sua celebre espressione "Homo homini lupus" (lett. "L'uomo è un lupo verso l'altro uomo") —, allora accadrà presto che un'autocoscienza arrivi a sovrastare e schiavizzarne un'altra. Così nascono due figure del Sapere apparente, ossia l'autocoscienza servile, sottomessa, e quella padronale, che la comanda. Per questo motivo, quando il padrone deve rapportarsi alla natura al fine di soddisfare le proprie necessità, sfrutta il servo, che diventa quindi l'elemento medio tra i due estremi rappresentati da autocoscienza padronale e natura. Hegel spiega quindi che in realtà è proprio il servo a divenire colui il quale possiede il potere all'interno di questo contesto: l'autocoscienza servile, infatti, si rapporta direttamente alla natura — o meglio, attraverso strumenti — e può quindi realizzarsi all'interno della sua attività lavorativa. Il servo, in altre parole, è sottoposto ad una sorta di processo di Bildung (lett. 'formazione') coatto che gli consente di elevarsi al di sopra della sua condizione di schiavo attraverso l'arricchimento delle sue proprie capacità. Tutti questi concetti vengono ripresi da Feuerbach e da Marx, come illustrerò poi.
Pertanto, l'autocoscienza servile proietta se stessa al di fuori di sé (momento negativo dell'alienazione), ma poi recupera tutto ciò che ha proiettato al di fuori di sé riconoscendo che la realtà storico-naturale alla quale si approccia altro non è che una sua stessa figura, una sua auto-alienazione (momento positivo dell'alienazione).

Feuerbach: l'alienazione religiosa dell'uomo
Feuerbach fu un altro filosofo dell'Ottocento tedesco che si occupò di alienazione, più in particolare in ambito religioso. Egli sostiene, ne “L'Essenza del Cristianesimo” del 1841, che la religione si basi su un'inversione di soggetto e predicato: l'uomo religioso, infatti, separa da sé i suoi propri predicati essenziali e li attribuisce ad un ente a lui estraneo, Dio, che in questo modo diventa il vero soggetto da cui l'uomo viene a dipendere in quanto si ritiene da questo generato. Così, il soggetto, l'uomo, diventa il predicato del suo stesso predicato, Dio, e i due ruoli si invertono. Si tratta della “proiezione antropologica”, che consiste pertanto nell'attribuire ad un ente esterno e fantastico, creato dallo stesso soggetto, caratteristiche e proprietà appartenenti a questo, rendendolo così un puro Gegenstand, ossia un oggetto-specchio del soggetto dove, da una parte, si ritrovano gli stessi predicati del soggetto, mentre dall'altra questi vengono potenziati mediante compensazione. Ciò significa che l'uomo religioso proietta in Dio il suo Wesen, ossia ciò che si è depositato in lui in seguito allo sviluppo della storia umana, ed è incosciente che ciò che egli dice di Dio è ciò che appartiene a lui posto fuori di lui e che il Dio che egli venera altro non è che una figura potenziata della natura umana: pertanto, l'uomo povero vorrà il Dio ricco e lo schiavo vorrà un Dio onnipotente e padrone del Cielo e della Terra. Sottolinea anche Feuerbach che questo oggetto viene generato dal soggetto e non ha pertanto alcuna consistenza empirica: si tratta infatti dell'unico Gegenstand a cui non corrisponda alcun Objekt*, proprio in quanto l'oggetto cessa di esistere nel momento stesso in cui viene privato degli attributi ascrittigli dal soggetto. Scrive, infatti, Feuerbach:
“Come l'uomo pensa, quali sono i suoi principi, tale è il suo dio: quanto l'uomo vale, tanto e non più vale il suo dio. La coscienza che l'uomo ha di Dio è la conoscenza che l'uomo ha di sé. Tu conosci l'uomo dal suo dio, e, reciprocamente, Dio dall'uomo; l'uno e l'altro si identificano. Per l'uomo, è Dio il proprio spirito, la propria anima; e ciò che per l'uomo è spirito, ciò che è la sua anima, il suo cuore, quello è il suo dio: Dio è l'intimo rivelato, l'essenza dell'uomo espressa; la religione è la solenne rivelazione dei tesori celati dell'uomo, la pubblica professione dei suoi segreti d'amore.”
[“L'essenza del Cristianesimo”, pag. 34]

Nell'opera dal titolo “Necessità di un cambiamento” del 1842, Feuerbach trarrà le conseguenze di questa prima opera, sostenendo – e in questo anticipando Marx - che la ragione dell'esistenza della religione vada ricercata nel modus vivendi, in quanto essa altro non è che la compensazione di una situazione di miseria in un generico aldilà. In altre parole, perché l'alienazione religiosa cessi di esistere bisogna eliminare le condizioni che la rendono necessaria e questo, secondo Feuerbach, è possibile mediante la sostituzione della religione con la politica, che riuscirebbe, quindi, a provocare la separazione dell'uomo empirico dall'uomo incielato.

*Questi sono i due termini che Feuerbach distingue nettamente l'uno dall'altro per offrire delucidazioni in merito a Dio. Per Objekt egli intende un qualsiasi oggetto distinto dagli altri per sua stessa natura, l'oggetto in sé, l'oggetto empirico. Per Gegenstand, al contrario, egli intende l'oggetto-specchio del soggetto, ossia come l'oggetto si presenta al soggetto, carico delle stesse caratteristiche che il soggetto gli ascrive. Per fare un esempio banale, un libro, quando lo compriamo, è un puro Objekt, un oggetto separato rispetto a noi, che siamo i soggetti. Una volta che abbiamo superato l'alterità presente tra noi e l'oggetto, ossia una volta che ci siamo rapportati ad esso e che, in senso pratico, l'abbiamo letto, allora l'oggetto non è più qualcosa di distinto e separato da noi, ma è entrato a far parte di noi per sempre. Da quel momento, non avremo di fronte a noi un Objekt, ossia un libro composto da talune e talaltre caratteristiche, bensì un Gegenstand, un oggetto che è stato interiorizzato dal soggetto. Questo processo era stato già illustrato da un altro filosofo tedesco di nome Johann Gottlieb Fichte, a cui questi filosofi sicuramente devono parte del loro lavoro.
Nella visione di Feuerbach, quindi, Dio altro non è che un puro Gegenstand ed è anzi l'unico Gegenstand a cui non corrisponda alcun Objekt, poiché Dio altro non è che l'insieme delle caratteristiche che l'uomo stesso gli attribuisce.
Un altro importante punto che verrà ripreso anche da Marx è che l'uomo come tale si realizza attraverso l'attività lavorativa ed è pertanto questa la caratteristica principale che costituisce il Gattungswesen (lett. 'l'essenza della specie') dell'uomo. La sua specie — in tedesco Gattung — è tale unicamente qualora si realizzi attraverso un'attività lavorativa.

Karl Marx: il Capitalismo come il processo di auto-alienazione dell'individuo
Karl Marx trattò dell'alienazione in particolar modo nei “Manoscritti economico-filosofici” del 1844, ma, più in generale, la sua teoria su questo processo interessa l'intera analisi che egli fa della società capitalistica. Già nella “Questione ebraica” del 1844, infatti, Marx aveva sottolineato la fondamentale rottura tra il bourgeois (lett. 'borghese') e il citoyen (lett. 'cittadino') che contraddistingue la società moderna: da una parte si trova l'individuo “sociale”, portatore di interessi privati, dall'altra la persona, ossia la sua maschera giuridica, l'individuo in quanto membro di una comunità politica. Contrariamente a Hegel, che già aveva ravvisato questa spaccatura dell'individuo moderno, ma ne aveva anche individuato la riunificazione negli ordini o meglio nello Stato, Marx sostiene che questa sia una mediazione illusoria, in quanto, di fatto, gli interessi privati si trasferiscono nella sfera pubblica e pertanto gli interessi della classe al potere vengono tutelati e legittimati. Di conseguenza, nell'ottica di Marx, l'alienazione religiosa esaminata da Feuerbach deriva da una più ampia alienazione sociale e politica che sorge, appunto, da questa scissione della società moderna.
Nei Manoscritti parigini, tuttavia, Marx si propone di indagare l'alienazione in quanto prodotto specifico della società capitalistica, ossia come alienazione dell'operaio sul terreno della produzione e del lavoro. I punti di vista fondamentali utilizzati da Marx per prendere in esame questo processo sono sostanzialmente quattro.
Prima di tutto, nel mondo della fabbrica, l'operaio viene espropriato del prodotto del suo lavoro e di conseguenza l'alienazione riguarda proprio quest'ultimo: contrariamente ad Hegel, che concepisce l'oggettivazione del lavoro come un'appropriazione del soggetto, una sorta di processo di Bildung coatto a cui questo viene sottoposto – si pensi alla figura fenomenologica del servo -, Marx, nelle condizioni attuali, vede questa oggettivazione piuttosto come un'alienazione, un'espropriazione. Infatti, più l'operaio produce, più aumenta il capitale, ossia la forza che gli si contrappone, e pertanto chi produce viene ad avere una parte sempre minore di ciò che lui stesso compie. Usando le parole di Marx:
“[...] più oggetti l'operaio produce, meno può possederne e tanto più cade sotto il dominio del suo prodotto, il capitale.”
[“Manoscritti economico-filosofici”, pp.194-7]

Ne consegue l'alienazione del lavoro come attività: questo, infatti, da fine del soddisfacimento dei bisogni dell'uomo diventa, al contrario, un mezzo per soddisfare bisogni a lui estranei. L'operaio, infatti, non si afferma nel suo lavoro, ma, al contrario, si nega: “E' a casa propria se non lavora; e se lavora non è a casa propria.” [ibid. pp.194-7]
L'attività lavorativa, quindi, da momento di realizzazione dell'uomo, non diventa altro che la mortificazione del suo corpo e la rovina del suo spirito. Da qui deriva il terzo punto di vista, ossia l'alienazione dal genere:
“[...] l'uomo (l'operaio) si sente libero soltanto nelle sue funzioni animali, come il mangiare, il bere, il procreare... e invece si sente nulla più che una bestia nelle sue funzioni umane.”
[ibid., pp.194-7]

Avviene quindi un'inversione tra le funzioni umane, come, appunto, l'attività lavorativa e la realizzazione dell'uomo in questa, e quelle invece bestiali, quelle volte quindi alla mera soddisfazione di un bisogno animale dell'uomo. Riprendendo il concetto feuerbachiano di Gattungswesen e accentuandone la dimensione sociale e pratica, Marx ritiene infatti che l'essenza dell'uomo risieda proprio nella sua capacità di rapportarsi alla natura e agli altri soggetti umani tramite strumenti e, attraverso questa mediazione, trasformarla al fine di appagare i suoi bisogni: è chiaro quindi che il lavoro, in questo contesto, permette l'oggettivazione del soggetto e la sua piena realizzazione. Tuttavia, proprio in ragione dell'alienazione dell'operaio dal prodotto del suo lavoro e dall'attività lavorativa in genere, è chiaro che lo stesso soggetto si allontana dalla sua Gattung e, di conseguenza, l'uomo non è più uomo nel lavoro, ma unicamente una parte del capitale.
Nell'ottica di Marx, quest'ultimo punto riduce i sensi dell'uomo all'unico senso dell'avere: l'oggetto altro non è che qualcosa di cui ci si può o non ci si può appropriare. Ciò, chiaramente, mette l'uomo in competizione con gli altri, in una sorta di regno animale dello Spirito hegeliano, dove gli uomini sono ridotti ad individui, ad oggetti del mercato in perpetua lotta tra di loro che si rapportano gli uni agli altri unicamente nel momento dello scambio: pertanto, l'uomo è alienato anche dagli altri uomini, che percepisce come enti assolutamente estranei, ed è costretto a rinchiudersi nella propria individualità per sopravvivere. Tutto ciò conduce ad un depauperamento dell'uomo che, lontano dal suo Wesen, non è più in grado di tessere il maggior numero di rapporti con gli altri al fine di arricchire la propria soggettività se non nel freddo momento dello scambio, ossia nel momento in cui l'uomo abbisogna di una merce di cui non dispone ed è pertanto costretto a barattare ciò che possiede per ottenere ciò di cui necessita. Ne risulta, quindi, quello che Marx nel Capitale definirà il “feticismo delle merci”, ossia l'adorazione della merce in quanto ciò che consente il rapporto tra due diversi individui alienati. Si tratta del processo di reificazione degli individui e della personificazione delle merci, un'ulteriore inversione dettata dal Capitalismo. Spiega, quindi, Marx:
“Con la messa in valore del mondo delle cose cresce in rapporto diretto la svalutazione del mondo degli uomini.”
[ibid., pp.194-7]

Infatti, è solo nel momento dello scambio, dettato non tanto dagli individui, quanto dalle merci, che emergono “i caratteri specificamente sociali dei loro lavori privati” eseguiti indipendentemente l'uno dall'altro, e, pertanto, si tratta di “rapporti di cose fra persone e rapporti sociali tra cose”. Nel Capitalismo, infatti, sono le merci ad assumere il ruolo di persone (personificazione delle cose), mentre queste vengono ridotte a delle mere merci (reificazione degli individui): risulta quindi chiaro che ad una rivalutazione del mondo delle cose corrisponde invece la svalutazione del mondo degli uomini.
Ultimo importante punto della teoria marxiana è rappresentato dalla proprietà privata: è questa da considerarsi il punto di partenza o di arrivo del Capitalismo? Da questa analisi risulta che essa sia la condizione e al contempo il risultato del lavoro alienato: da una parte, il lavoro alienato prende le mosse dalla possibilità stessa di possedere una merce (si pensi, per esempio, al capitalista che acquista forza-lavoro); dall'altra, invece, è proprio nell'alienazione dell'uomo dagli altri uomini che va ritrovata la genesi dialettica della proprietà privata, in quanto del prodotto del lavoro di un uomo (l'operaio) si appropria un altro uomo (il capitalista). Spiega, infatti, Marx:
“La proprietà privata risulta così dall'analisi del concetto del lavoro espropriato, cioè dell'uomo espropriato, del lavoro alienato, della vita alienata, dell'uomo alienato. Abbiamo certamente ricavato il concetto del lavoro espropriato (della vita espropriata) dall'economia politica come risultato del movimento della proprietà privata. Ma nell'analisi di questo concetto si mostra che, mentre la proprietà privata appare come ragione e causa del lavoro espropriato, essa è piuttosto una conseguenza di quest'ultimo, così come gli dei sono in origine non causa bensì efetto dello smarrimento dell'intelletto umano. Poi questo rapporto si rovescia in un efetto reciproco.Solo all'ultimo punto culminante dello sviluppo della proprietà privata questa mostra di nuovo in risalto il suo segreto: cioè che, da una parte, essa è il risultato del lavoro espropriato, e secondariamente ch'essa è il mezzo col quale il lavoro si espropria, la realizzazione di questa espropriazione.”
[ibid., pp.194-7]


Qui termina la parte di filosofia della mia tesina. Tutto ciò che ho riportato qui lo trovai estremamente interessante quando lo 'scoprii' la prima volta, tanto che ancora ora ricordo tutti questi concetti — che, lo ricordiamo, sono ormai Gegenstände. Mi auguro che almeno qualcuno reputi tutto ciò interessante e in qualche modo utile, anche solo come una sorta di riassunto per i poveri maturandi. Prendete questo post come un segno di solidarietà, ci sono passato l'anno scorso ed è stato piuttosto terribile, quindi spero che questo vi aiuti a vivere — o almeno a sorridere. Per tutti gli altri, mi auguro che questo post o vi rinfreschi qualche nozione di filosofia tedesca dell'Ottocento o vi faccia scoprire qualcosa di nuovo.

Un ultimo appunto: tramite questo post vorrei anche ricordare che il termine alienazione non va confuso con l'estraniazione. Il primo consiste, come ho specificato nella prima parte di questo post, nel proiettare al di fuori di sé caratteristiche proprie, cedendole ad altri. Ciò significa, per esempio, che attribuiamo a Dio caratteristiche umane (→proiezione antropologica di Feuerbach) o che tendiamo a definire noi stessi tramite caratteristiche dettate da altri (→introduzione della tesina). Il secondo termine, invece, significa estraniarsi dalla realtà, allontanarsi da ciò che ci circonda, un altro dei sintomi dell'età postmoderna causati dall'incredibile influenza di internet.

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