venerdì 18 aprile 2014

Il concetto filosofico di alienazione in Hegel, Feuerbach e Marx

Nonostante la filosofia non risponda alle mie necessità più impellenti, trovo che formi delle ottime fondamenta per poi dare delle risposte a tutti i dubbi e le perplessità che ci possono colpire quando ci ritroviamo ad analizzare la realtà che ci circonda. Proprio in questo senso, nella mia tesina dell'anno scorso (sempre lei, sì) ho voluto — e in parte dovuto, visto l'argomento da me scelto — trattare del concetto filosofico di alienazione per poi analizzare come questa si declini in tre opere della letteratura europea (di cui ho già riportato qualcosa). Dal punto di vista filosofico, quindi, mi sono addentrato nelle formulazioni di tre diversi autori che abbiamo studiato durante l'anno, ossia Georg Wilhelm Friedrich Hegel (o Giorgio Guglielmo Federico, come lo chiamava il nostro prof), Ludwig (Andreas) Feuerbach e il benamato Karl Marx (per gli amici Carlo). La concezione di alienazione dell'ultimo di questi, in particolare, è estremamente interessante in quanto riguarda strettamente il Capitalismo (ma dai?). Riporto qui le tre paginette di filosofia contenute nella mia tesina, possibilmente aggiungendo delucidazioni riguardo a concetti a cui avevo solamente accennato, nella speranza che qualcuno possa trarne beneficio, ancora una volta, oltre al mio ego. Queste aggiunte verranno messe in rosso e possibilmente dopo un asterisco per non interrompere il filo del discorso. A seguire una breve conclusione. Buona lettura.



L'ALIENAZIONE
Il termine “alienazione” deriva dall'aggettivo latino alienus, a, um, che significa “altrui”. In primo luogo, questo vocabolo indica l'atto giuridico mediante il quale si cede ad altri soggetti una proprietà o un diritto su beni del proprio patrimonio.
Tuttavia, nel linguaggio filosofico, questo termine è venuto ad indicare, generalmente, un processo mediante il quale un soggetto cede una parte o la totalità delle sue caratteristiche distintive ad altri. L'alienazione venne esaminata, in particolar modo, da filosofi tedeschi del XIX secolo quali Hegel, Feuerbach e Marx. In questa tesina intendo soffermarmi in particolar modo sulla formulazione di quest'ultimo in quanto applica la nozione di alienazione ai rapporti produttivi del mondo capitalistico ed è pertanto di più ampio respiro rispetto ai due filosofi precedenti, sebbene questi abbiano posto le basi per lo studio marxiano del capitalismo come auto-alienazione dell'individuo.

Hegel: l'alienazione come momento positivo nel percorso dell'autocoscienza verso l'Assoluto
Hegel trattò di questo processo nella sua celebre “Fenomenologia dello Spirito” del 1807, più in particolare nell'ultima sezione di questa, intitolata “lo Spirito”. Dopo aver analizzato il percorso dialettico che porta alla nascita e alla rottura di alcune figure del sapere apparente, il filosofo tedesco arriva a definire l'alienazione come il momento necessario in cui l'uomo trova se stesso in una realtà altra da sé. Sostanzialmente, questo processo di Entfremdung o Entäußerung che dir si voglia consiste di due momenti: quello negativo, in cui l'autocoscienza proietta se stessa al di fuori di sé, in una realtà storico-naturale a lei autonoma; e quello positivo, in cui il soggetto ritorna a sé in quanto la realtà in cui si è alienata altro non è che il prodotto stesso della sua auto-alienazione. Scrive, infatti, Hegel:
“Ma a noi lo spirito ha mostrato di non essere né soltanto il ritrarsi dell'autocoscienza nella sua pura interiorità, né il mero calarsi di essa nella sostanza e il non-essere della sua diferenza; anzi ha mostrato di essere questo movimento del Sé il quale aliena se stesso e si cala nella sua sostanza e come soggetto tanto è andato da essa in sé e l'ha resa oggetto e contenuto, quanto toglie questa diferenza dell'oggettività e del contenuto.”
[“La Fenomenologia dello Spirito”, pag. 301]

In altre parole, l'autocoscienza, ponendo se stessa come oggetto e avendo pertanto superato l'alterità dell'oggetto, nel suo essere-altro è presso di sé in quanto la realtà storico-naturale altro non è che una sua figura, una sua auto-alienazione. Pertanto, se il soggetto diviene consapevole che il prendere come punto di riferimento una realtà concepita come sovrastante, alienandosi in una certa misura in essa, è proprio ciò che gli consente di esprimere il suo essere più intimo e proprio, allora la storia delle sue alienazioni gli appare come la sua stessa crescita spirituale e, di conseguenza, l'alienazione viene concettualmente soppressa e superata dall'autocoscienza.

*Questo concetto viene applicato da Hegel stesso in una parte precedente della Fenomenologia, rendendolo qualcosa di più sensato di una mera speculazione filosofica. Nella nota dialettica servo-padrone, infatti, è possibile osservare come questa idea si declini all'interno della realtà. Spiega infatti Hegel che se supponiamo che effettivamente esista quello che lui chiama il Regno animale dello Spirito, ossia un contesto all'interno del quale ogni autocoscienza deve lottare per la propria sopravvivenza poiché ognuna di esse è spinta da interessi prettamente egoistici — come sosteneva Thomas Hobbes con la sua celebre espressione "Homo homini lupus" (lett. "L'uomo è un lupo verso l'altro uomo") —, allora accadrà presto che un'autocoscienza arrivi a sovrastare e schiavizzarne un'altra. Così nascono due figure del Sapere apparente, ossia l'autocoscienza servile, sottomessa, e quella padronale, che la comanda. Per questo motivo, quando il padrone deve rapportarsi alla natura al fine di soddisfare le proprie necessità, sfrutta il servo, che diventa quindi l'elemento medio tra i due estremi rappresentati da autocoscienza padronale e natura. Hegel spiega quindi che in realtà è proprio il servo a divenire colui il quale possiede il potere all'interno di questo contesto: l'autocoscienza servile, infatti, si rapporta direttamente alla natura — o meglio, attraverso strumenti — e può quindi realizzarsi all'interno della sua attività lavorativa. Il servo, in altre parole, è sottoposto ad una sorta di processo di Bildung (lett. 'formazione') coatto che gli consente di elevarsi al di sopra della sua condizione di schiavo attraverso l'arricchimento delle sue proprie capacità. Tutti questi concetti vengono ripresi da Feuerbach e da Marx, come illustrerò poi.
Pertanto, l'autocoscienza servile proietta se stessa al di fuori di sé (momento negativo dell'alienazione), ma poi recupera tutto ciò che ha proiettato al di fuori di sé riconoscendo che la realtà storico-naturale alla quale si approccia altro non è che una sua stessa figura, una sua auto-alienazione (momento positivo dell'alienazione).

Feuerbach: l'alienazione religiosa dell'uomo
Feuerbach fu un altro filosofo dell'Ottocento tedesco che si occupò di alienazione, più in particolare in ambito religioso. Egli sostiene, ne “L'Essenza del Cristianesimo” del 1841, che la religione si basi su un'inversione di soggetto e predicato: l'uomo religioso, infatti, separa da sé i suoi propri predicati essenziali e li attribuisce ad un ente a lui estraneo, Dio, che in questo modo diventa il vero soggetto da cui l'uomo viene a dipendere in quanto si ritiene da questo generato. Così, il soggetto, l'uomo, diventa il predicato del suo stesso predicato, Dio, e i due ruoli si invertono. Si tratta della “proiezione antropologica”, che consiste pertanto nell'attribuire ad un ente esterno e fantastico, creato dallo stesso soggetto, caratteristiche e proprietà appartenenti a questo, rendendolo così un puro Gegenstand, ossia un oggetto-specchio del soggetto dove, da una parte, si ritrovano gli stessi predicati del soggetto, mentre dall'altra questi vengono potenziati mediante compensazione. Ciò significa che l'uomo religioso proietta in Dio il suo Wesen, ossia ciò che si è depositato in lui in seguito allo sviluppo della storia umana, ed è incosciente che ciò che egli dice di Dio è ciò che appartiene a lui posto fuori di lui e che il Dio che egli venera altro non è che una figura potenziata della natura umana: pertanto, l'uomo povero vorrà il Dio ricco e lo schiavo vorrà un Dio onnipotente e padrone del Cielo e della Terra. Sottolinea anche Feuerbach che questo oggetto viene generato dal soggetto e non ha pertanto alcuna consistenza empirica: si tratta infatti dell'unico Gegenstand a cui non corrisponda alcun Objekt*, proprio in quanto l'oggetto cessa di esistere nel momento stesso in cui viene privato degli attributi ascrittigli dal soggetto. Scrive, infatti, Feuerbach:
“Come l'uomo pensa, quali sono i suoi principi, tale è il suo dio: quanto l'uomo vale, tanto e non più vale il suo dio. La coscienza che l'uomo ha di Dio è la conoscenza che l'uomo ha di sé. Tu conosci l'uomo dal suo dio, e, reciprocamente, Dio dall'uomo; l'uno e l'altro si identificano. Per l'uomo, è Dio il proprio spirito, la propria anima; e ciò che per l'uomo è spirito, ciò che è la sua anima, il suo cuore, quello è il suo dio: Dio è l'intimo rivelato, l'essenza dell'uomo espressa; la religione è la solenne rivelazione dei tesori celati dell'uomo, la pubblica professione dei suoi segreti d'amore.”
[“L'essenza del Cristianesimo”, pag. 34]

Nell'opera dal titolo “Necessità di un cambiamento” del 1842, Feuerbach trarrà le conseguenze di questa prima opera, sostenendo – e in questo anticipando Marx - che la ragione dell'esistenza della religione vada ricercata nel modus vivendi, in quanto essa altro non è che la compensazione di una situazione di miseria in un generico aldilà. In altre parole, perché l'alienazione religiosa cessi di esistere bisogna eliminare le condizioni che la rendono necessaria e questo, secondo Feuerbach, è possibile mediante la sostituzione della religione con la politica, che riuscirebbe, quindi, a provocare la separazione dell'uomo empirico dall'uomo incielato.

*Questi sono i due termini che Feuerbach distingue nettamente l'uno dall'altro per offrire delucidazioni in merito a Dio. Per Objekt egli intende un qualsiasi oggetto distinto dagli altri per sua stessa natura, l'oggetto in sé, l'oggetto empirico. Per Gegenstand, al contrario, egli intende l'oggetto-specchio del soggetto, ossia come l'oggetto si presenta al soggetto, carico delle stesse caratteristiche che il soggetto gli ascrive. Per fare un esempio banale, un libro, quando lo compriamo, è un puro Objekt, un oggetto separato rispetto a noi, che siamo i soggetti. Una volta che abbiamo superato l'alterità presente tra noi e l'oggetto, ossia una volta che ci siamo rapportati ad esso e che, in senso pratico, l'abbiamo letto, allora l'oggetto non è più qualcosa di distinto e separato da noi, ma è entrato a far parte di noi per sempre. Da quel momento, non avremo di fronte a noi un Objekt, ossia un libro composto da talune e talaltre caratteristiche, bensì un Gegenstand, un oggetto che è stato interiorizzato dal soggetto. Questo processo era stato già illustrato da un altro filosofo tedesco di nome Johann Gottlieb Fichte, a cui questi filosofi sicuramente devono parte del loro lavoro.
Nella visione di Feuerbach, quindi, Dio altro non è che un puro Gegenstand ed è anzi l'unico Gegenstand a cui non corrisponda alcun Objekt, poiché Dio altro non è che l'insieme delle caratteristiche che l'uomo stesso gli attribuisce.
Un altro importante punto che verrà ripreso anche da Marx è che l'uomo come tale si realizza attraverso l'attività lavorativa ed è pertanto questa la caratteristica principale che costituisce il Gattungswesen (lett. 'l'essenza della specie') dell'uomo. La sua specie — in tedesco Gattung — è tale unicamente qualora si realizzi attraverso un'attività lavorativa.

Karl Marx: il Capitalismo come il processo di auto-alienazione dell'individuo
Karl Marx trattò dell'alienazione in particolar modo nei “Manoscritti economico-filosofici” del 1844, ma, più in generale, la sua teoria su questo processo interessa l'intera analisi che egli fa della società capitalistica. Già nella “Questione ebraica” del 1844, infatti, Marx aveva sottolineato la fondamentale rottura tra il bourgeois (lett. 'borghese') e il citoyen (lett. 'cittadino') che contraddistingue la società moderna: da una parte si trova l'individuo “sociale”, portatore di interessi privati, dall'altra la persona, ossia la sua maschera giuridica, l'individuo in quanto membro di una comunità politica. Contrariamente a Hegel, che già aveva ravvisato questa spaccatura dell'individuo moderno, ma ne aveva anche individuato la riunificazione negli ordini o meglio nello Stato, Marx sostiene che questa sia una mediazione illusoria, in quanto, di fatto, gli interessi privati si trasferiscono nella sfera pubblica e pertanto gli interessi della classe al potere vengono tutelati e legittimati. Di conseguenza, nell'ottica di Marx, l'alienazione religiosa esaminata da Feuerbach deriva da una più ampia alienazione sociale e politica che sorge, appunto, da questa scissione della società moderna.
Nei Manoscritti parigini, tuttavia, Marx si propone di indagare l'alienazione in quanto prodotto specifico della società capitalistica, ossia come alienazione dell'operaio sul terreno della produzione e del lavoro. I punti di vista fondamentali utilizzati da Marx per prendere in esame questo processo sono sostanzialmente quattro.
Prima di tutto, nel mondo della fabbrica, l'operaio viene espropriato del prodotto del suo lavoro e di conseguenza l'alienazione riguarda proprio quest'ultimo: contrariamente ad Hegel, che concepisce l'oggettivazione del lavoro come un'appropriazione del soggetto, una sorta di processo di Bildung coatto a cui questo viene sottoposto – si pensi alla figura fenomenologica del servo -, Marx, nelle condizioni attuali, vede questa oggettivazione piuttosto come un'alienazione, un'espropriazione. Infatti, più l'operaio produce, più aumenta il capitale, ossia la forza che gli si contrappone, e pertanto chi produce viene ad avere una parte sempre minore di ciò che lui stesso compie. Usando le parole di Marx:
“[...] più oggetti l'operaio produce, meno può possederne e tanto più cade sotto il dominio del suo prodotto, il capitale.”
[“Manoscritti economico-filosofici”, pp.194-7]

Ne consegue l'alienazione del lavoro come attività: questo, infatti, da fine del soddisfacimento dei bisogni dell'uomo diventa, al contrario, un mezzo per soddisfare bisogni a lui estranei. L'operaio, infatti, non si afferma nel suo lavoro, ma, al contrario, si nega: “E' a casa propria se non lavora; e se lavora non è a casa propria.” [ibid. pp.194-7]
L'attività lavorativa, quindi, da momento di realizzazione dell'uomo, non diventa altro che la mortificazione del suo corpo e la rovina del suo spirito. Da qui deriva il terzo punto di vista, ossia l'alienazione dal genere:
“[...] l'uomo (l'operaio) si sente libero soltanto nelle sue funzioni animali, come il mangiare, il bere, il procreare... e invece si sente nulla più che una bestia nelle sue funzioni umane.”
[ibid., pp.194-7]

Avviene quindi un'inversione tra le funzioni umane, come, appunto, l'attività lavorativa e la realizzazione dell'uomo in questa, e quelle invece bestiali, quelle volte quindi alla mera soddisfazione di un bisogno animale dell'uomo. Riprendendo il concetto feuerbachiano di Gattungswesen e accentuandone la dimensione sociale e pratica, Marx ritiene infatti che l'essenza dell'uomo risieda proprio nella sua capacità di rapportarsi alla natura e agli altri soggetti umani tramite strumenti e, attraverso questa mediazione, trasformarla al fine di appagare i suoi bisogni: è chiaro quindi che il lavoro, in questo contesto, permette l'oggettivazione del soggetto e la sua piena realizzazione. Tuttavia, proprio in ragione dell'alienazione dell'operaio dal prodotto del suo lavoro e dall'attività lavorativa in genere, è chiaro che lo stesso soggetto si allontana dalla sua Gattung e, di conseguenza, l'uomo non è più uomo nel lavoro, ma unicamente una parte del capitale.
Nell'ottica di Marx, quest'ultimo punto riduce i sensi dell'uomo all'unico senso dell'avere: l'oggetto altro non è che qualcosa di cui ci si può o non ci si può appropriare. Ciò, chiaramente, mette l'uomo in competizione con gli altri, in una sorta di regno animale dello Spirito hegeliano, dove gli uomini sono ridotti ad individui, ad oggetti del mercato in perpetua lotta tra di loro che si rapportano gli uni agli altri unicamente nel momento dello scambio: pertanto, l'uomo è alienato anche dagli altri uomini, che percepisce come enti assolutamente estranei, ed è costretto a rinchiudersi nella propria individualità per sopravvivere. Tutto ciò conduce ad un depauperamento dell'uomo che, lontano dal suo Wesen, non è più in grado di tessere il maggior numero di rapporti con gli altri al fine di arricchire la propria soggettività se non nel freddo momento dello scambio, ossia nel momento in cui l'uomo abbisogna di una merce di cui non dispone ed è pertanto costretto a barattare ciò che possiede per ottenere ciò di cui necessita. Ne risulta, quindi, quello che Marx nel Capitale definirà il “feticismo delle merci”, ossia l'adorazione della merce in quanto ciò che consente il rapporto tra due diversi individui alienati. Si tratta del processo di reificazione degli individui e della personificazione delle merci, un'ulteriore inversione dettata dal Capitalismo. Spiega, quindi, Marx:
“Con la messa in valore del mondo delle cose cresce in rapporto diretto la svalutazione del mondo degli uomini.”
[ibid., pp.194-7]

Infatti, è solo nel momento dello scambio, dettato non tanto dagli individui, quanto dalle merci, che emergono “i caratteri specificamente sociali dei loro lavori privati” eseguiti indipendentemente l'uno dall'altro, e, pertanto, si tratta di “rapporti di cose fra persone e rapporti sociali tra cose”. Nel Capitalismo, infatti, sono le merci ad assumere il ruolo di persone (personificazione delle cose), mentre queste vengono ridotte a delle mere merci (reificazione degli individui): risulta quindi chiaro che ad una rivalutazione del mondo delle cose corrisponde invece la svalutazione del mondo degli uomini.
Ultimo importante punto della teoria marxiana è rappresentato dalla proprietà privata: è questa da considerarsi il punto di partenza o di arrivo del Capitalismo? Da questa analisi risulta che essa sia la condizione e al contempo il risultato del lavoro alienato: da una parte, il lavoro alienato prende le mosse dalla possibilità stessa di possedere una merce (si pensi, per esempio, al capitalista che acquista forza-lavoro); dall'altra, invece, è proprio nell'alienazione dell'uomo dagli altri uomini che va ritrovata la genesi dialettica della proprietà privata, in quanto del prodotto del lavoro di un uomo (l'operaio) si appropria un altro uomo (il capitalista). Spiega, infatti, Marx:
“La proprietà privata risulta così dall'analisi del concetto del lavoro espropriato, cioè dell'uomo espropriato, del lavoro alienato, della vita alienata, dell'uomo alienato. Abbiamo certamente ricavato il concetto del lavoro espropriato (della vita espropriata) dall'economia politica come risultato del movimento della proprietà privata. Ma nell'analisi di questo concetto si mostra che, mentre la proprietà privata appare come ragione e causa del lavoro espropriato, essa è piuttosto una conseguenza di quest'ultimo, così come gli dei sono in origine non causa bensì efetto dello smarrimento dell'intelletto umano. Poi questo rapporto si rovescia in un efetto reciproco.Solo all'ultimo punto culminante dello sviluppo della proprietà privata questa mostra di nuovo in risalto il suo segreto: cioè che, da una parte, essa è il risultato del lavoro espropriato, e secondariamente ch'essa è il mezzo col quale il lavoro si espropria, la realizzazione di questa espropriazione.”
[ibid., pp.194-7]


Qui termina la parte di filosofia della mia tesina. Tutto ciò che ho riportato qui lo trovai estremamente interessante quando lo 'scoprii' la prima volta, tanto che ancora ora ricordo tutti questi concetti — che, lo ricordiamo, sono ormai Gegenstände. Mi auguro che almeno qualcuno reputi tutto ciò interessante e in qualche modo utile, anche solo come una sorta di riassunto per i poveri maturandi. Prendete questo post come un segno di solidarietà, ci sono passato l'anno scorso ed è stato piuttosto terribile, quindi spero che questo vi aiuti a vivere — o almeno a sorridere. Per tutti gli altri, mi auguro che questo post o vi rinfreschi qualche nozione di filosofia tedesca dell'Ottocento o vi faccia scoprire qualcosa di nuovo.

Un ultimo appunto: tramite questo post vorrei anche ricordare che il termine alienazione non va confuso con l'estraniazione. Il primo consiste, come ho specificato nella prima parte di questo post, nel proiettare al di fuori di sé caratteristiche proprie, cedendole ad altri. Ciò significa, per esempio, che attribuiamo a Dio caratteristiche umane (→proiezione antropologica di Feuerbach) o che tendiamo a definire noi stessi tramite caratteristiche dettate da altri (→introduzione della tesina). Il secondo termine, invece, significa estraniarsi dalla realtà, allontanarsi da ciò che ci circonda, un altro dei sintomi dell'età postmoderna causati dall'incredibile influenza di internet.

domenica 13 aprile 2014

L'alienazione dell'individuo nella società (post)moderna

Giusto l'altro giorno mi è ricapitata sotto mano la mia tesina dell'anno scorso e, rileggendola, mi sono quasi meravigliato di quanto impegno ci abbia messo nel redigerla. In particolare, ho apprezzato l'introduzione, che qui ripropongo. L'argomento da me scelto era, proprio come dice il titolo di questo post, L'alienazione dell'individuo nella società moderna. Con il senno del poi, l'introduzione verte, in parte, sulla condizione della società postmoderna. Ecco quindi l'introduzione, nella speranza che possa risultare interessante almeno per qualcuno di diverso dal mio ego.

INTRODUZIONE

L'estate scorsa ho letto il romanzo “Tempi difficili” di Charles Dickens e, senza avere conoscenze approfondite né dell'autore né tantomeno del contesto all'interno del quale scrisse i suoi romanzi, rimasi affascinato da quel fenomeno di massificazione e perdita di individualità che fece seguito a quel complesso processo di industrializzazione che toccò l'Europa del XIX secolo, in primo luogo l'Inghilterra, poi la Francia e successivamente anche gli altri paesi. Alla fine dell'anno scorso avevamo studiato questo fenomeno in storia, ma non avevamo avuto il tempo di soffermarci sulle modalità in cui questo si declina all'interno della società. Leggendo Dickens, mi trovai di fronte ad un grande universo di personaggi alienati e scevri di qualsivoglia caratteristica umana: alle persone si sostituivano le macchine e a degli allievi autonomi ed indipendenti si preferivano degli studenti pieni di nozioni e fatti piuttosto che liberi di interpretare ciò che li circondava. Insomma, il mondo, nella società vittoriana dell'epoca, altro non era che un punto di partenza, un qualcosa di oggettivo ed imprescindibile che non si poteva interpretare né cambiare, in quanto ogni possibile forma di rivoluzione o anche solo di variazione veniva soffocata dal paesaggio brullo che dominava questo secolo.
Dal punto di vista filosofico, iniziai quindi ad informarmi sul concetto di “lavoro alienato” proposto da Marx verso la metà del secolo, in particolare leggendo degli estratti dei “Manoscritti economico-filosofici” del 1844 e sforzandomi di comprendere i vari punti della teoria marxiana. Chiedendo poi aiuto al professore di filosofia, leggendo un libro da questo consigliatomi e seguendo le sue lezioni in proposito, iniziai ad approfondire le mie conoscenze in materia di alienazione, collegando poi la teoria marxiana a quelle precedenti che ne avevano poste le basi. Trovai geniale ed estremamente attuale la formulazione di Marx, il che mi spinse ad approfondire ulteriormente questo tema.
Nel corso dell'anno, ci siamo poi avvicinati al Novecento, secolo in cui molti intellettuali risentirono del peso dei primi due grandi confitti mondiali e riuscirono a rendere, nelle loro opere, quell'atmosfera alienante che pervadeva la società moderna. Riguardo a questo, ho letto, su consiglio della professoressa di tedesco, il racconto “La sentenza” di Franz Kafka e il romanzo “La metamorfosi” dello stesso autore, ma ho preferito soffermarmi sul primo in quanto, a mio avviso, decisamente più denso ed interessante nonostante la maggiore brevità del testo. Non avendo studiato letteratura tedesca in quanto non contemplata dal programma, mi sono informato da solo su Kafka e sul suo mondo e ho cercato di elaborare una mia propria tesi e un mio punto di vista personale sul racconto sopraccitato. Infine, affascinato dall'esistenzialismo e avendo letto qualcosa di questa grande corrente, ho voluto approfondire le mie conoscenze attraverso la lettura di un'opera teatrale, “A porte chiuse” di Sartre, in cui ho trovato il concetto esternato dalla famosa espressione “L'inferno sono gli altri” estremamente interessante e rappresentativo dei rapporti odierni e, più in particolare, dell'alienazione che sta alla base di questi.
Ciò che davvero mi ha colpito di questo grande fenomeno è il suo essere definito in molteplici modi sulla base del contesto storico all'interno del quale è inserito. Chiaramente, questo processo inizia a comparire, in letteratura come in filosofia, verso la metà del XIX secolo – si pensi ai Manoscritti parigini di Marx o alla produzione di Dickens – , ossia nel momento in cui l'Industrializzazione ha ormai preso piede in tutta Europa: il lavoro manuale diventa meccanizzato, l'operaio viene ridotto ad una mera appendice della macchina, vengono introdotti il Taylorismo e il Fordismo, che rendono il lavoro operaio sempre meno qualificato e qualificante e sempre più meccanico e ripetitivo al fine di sfruttare al meglio la produttività umana, chiaramente causando, in tutto ciò, un depauperamento del mondo umano. Successivamente, con l'inizio del nuovo secolo e la minaccia di un primo grande confitto mondiale, gli intellettuali rompono con la tradizione, nasce il Modernismo, una tendenza, più che una corrente vera e propria, che si basa su alcune grandi teorie che rivoluzionano il sapere scientifico e mettono in crisi il sistema di valori esistente, quali, per esempio, la psicoanalisi freudiana, il relativismo di Einstein e la concezione di tempo soggettivo di filosofi come Bergson e James. Tutto questo confluisce in alcune grandi opere di cui “La terra desolata” di T. S. Eliot è senza dubbio la più rappresentativa: l'alienazione è la perdita di individualità dovuta alla massificazione della società, è la crisi di quei valori puri e immacolati che caratterizzavano le forme di vita primitive, lo smarrimento dell'uomo moderno, che perde di vista se stesso per essere incanalato in fiumi di gente e che non può più trovare quel principium individuationis che lo contraddistingue da tutti gli altri. In questo contesto, persino la famiglia, un tempo luogo sacro in cui l'individuo poteva realizzarsi appieno, si trasforma in un insieme di rapporti costrittivi che limitano l'individuo e lo sottomettono a delle figure padronali, quali quella del padre in Kafka, ravvisabile sia ne “La metamorfosi”, sia ne “La sentenza”. Non esiste più un'unità né tantomeno un insieme di valori comunemente condivisi e ciò è ravvisabile nella produzione di Luigi Pirandello, il quale sottolinea come ognuno percepisca la realtà secondo un sistema di valori autonomo e come, oltretutto, ogni individuo venga cristallizzato, all'interno della società, da forme fisse quali il lavoro e la famiglia, che altro non sono che delle mere maschere che mancano perciò di comunicare la totalità dell'individuo in quanto tale. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, poi, la risposta delle ormai élites intellettuali ad una sempre più ampia crisi di valori è la postulazione dell'assurdità dell'esistenza, come si verifica, per esempio, nel teatro dell'assurdo e nell'Esistenzialismo. I regimi totalitari hanno privato la massa del loro potere politico, arrivando a manipolarla attraverso i mass media e facendo sì che la “malattia” del consenso - che Ionesco definisce “rinocerontite” nella sua rinomata pièce “Il rinoceronte” del 1959-60 – dilagasse all'interno di una società sempre più alienata ed alienante. Parafrasando esistenzialisti quali Albert Camus e Jean-Paul Sartre, bisogna prendere coscienza dell'assurdità dell'esistenza, della sua totale mancanza di un senso, e da qui sviluppare una risposta positiva a questo universo di negatività. Le risposte possono essere molteplici, ma quelle che i due autori propongono sono, rispettivamente, l'impegno sociale e l'impegno politico-intellettuale.
Gran parte di questi temi sono chiaramente attuali e toccano anche la società odierna: con l'avvento dei social networks, tendiamo, soprattutto noi giovani, ad essere sempre più isolati dalla società nella quale ci troviamo e allo stesso tempo siamo anche alienati, proprio in quanto tendiamo a determinare noi stessi in base a ciò che gli altri dicono di noi, di fatto sostenendo la tesi di Sartre. Gli altri sono diventati imprescindibili e le nostre azioni sui social networks non possono che confermarlo: condividiamo deliberatamente su internet parti della nostra vita per far sì che gli altri si accorgano della nostra esistenza, magari ci stimino o invidino, senza renderci conto di questo automatismo, perché ormai è considerato come dato e impossibile da cambiare. La nostra alienazione raggiunge livelli paradossali: se nella celeberrima distopia orwelliana il protagonista Winston Smith cerca in ogni modo di evitare gli occhi del Partito, oggi pare che siamo noi stessi a metterci, di nostra propria volontà, pubblicamente in vista sul web, privandoci del diritto alla privacy a cui tanto teniamo. Insomma, se da una parte sono lontani i “Tempi difficili” di cui parlava Dickens nel 1854, dall'altra tutto ciò che mi son proposto di approfondire in questa tesina non può che toccarci nel nostro io più profondo, perché, evidentemente, ci riguarda ancora oggi ed è proprio per questo che ho deciso di trattare questo argomento.






martedì 8 aprile 2014

Il mio primo racconto

Ho deciso di pubblicare il mio primo racconto qui. Dopo averlo sottoposto al giudizio severo di amici e parenti, ho deciso di trascriverlo qui perché sarei curioso di avere anche altri pareri al riguardo.

Albrecht Dürer, 'San Girolamo nella cella" (1514)








































EDOARDO
Un racconto

Ci sono delle sere in cui semplicemente non si può farne a meno. Non si riesce a non vedere il mondo con sguardo distaccato, vederlo nascere sotto alla penna, davanti ai propri occhi. Lo si vede fluire davanti a sé e non si può che lasciarlo scorrere fuori di sé. Era così che si sentiva lui quella sera nel suo studio mal illuminato. Era lì, ma era altrove. Tutto passava attraverso di lui, attraverso la sua mano rapida e crudele, nulla gli sfuggiva. La sua presa sul mondo era salda. Lo manovrava, lo rigirava, lo esplorava con lo sguardo finché non ne conosceva ogni particolare. Ogni dettaglio veniva intagliato da lui stesso attraverso i suoi occhi laboriosi. Erano occhi che non potevano che afferrare l'immenso, l'eterno, l'irremovibile.
Non si era mai dato arie con gli altri. Non ne aveva mai parlato con nessuno, parlare non gli apparteneva. Il suo mondo poteva essere comunicato unicamente per iscritto, nero su bianco. Aveva un'assoluta dipendenza dagli spazi tra le lettere, tra le parole, tra le righe, tra i paragrafi e le pagine. Trovava che ciò semplicemente non potesse essere trasmesso attraverso silenzi, lunghi o effimeri che fossero. Guardava il mondo in lontananza, vedeva le cose accadere davanti ai suoi occhi e le ricreava poi lui stesso. Nulla di mondano gli apparteneva. Lui puntava più in alto, più in là, verso l'etereo. È lì che trovava spazio, è lì che si sentiva a casa. I rumori delle guerre, le sommosse, il caos umano non lo riguardavano. Stava al di sopra, al di fuori di tutto. Distante, remoto. Ma non per questo freddo. Pochi sanno quanto calore le sue parole potessero contenere. La sua mano ricreava rapidi movimenti fisici e moti d'animo feroci con la prontezza che ci si aspetterebbe da un giocoliere. Manovrava le parole esattamente come i giocolieri fanno roteare oggetti. Ogni singolo gesto, ogni singola azione veniva plasmata sotto il suo controllo. Era il demiurgo della parola, che creava ma mai distruggeva.
Nella stanza adiacente ma diametralmente opposto a lui c'era invece Edoardo: un ragazzo felice, soddisfatto, sempre con la pancia un po' troppo piena e la testa un po' troppo vuota. Era il perfetto esempio di “figlio di papà”, di quel figliol prodigo che scialacqua il patrimonio famigliare in lussi e lussurie nel suo appartamento ben ammobiliato in centro città. Nulla poteva essergli negato, neanche la felicità. Tutto gli apparteneva, tutto ciò che esisteva concretamente doveva necessariamente essere afferrato da lui, sentito fino nel profondo, per poi essere abbandonato per qualcosa di nuovo. Era figlio del Capitalismo. La sua felicità risiedeva esattamente nell'essere costantemente insoddisfatto di tutto ciò che lo circondava, ciò che lo rendeva felice era precisamente continuare a cambiare ragazza, spostare l'arredamento, variare cibo, toccare oggetti sempre diversi. Le cose inequivocabili non gli appartenevano, tutto ciò che fosse ambiguo era invece cosa sua.
Edoardo incontrò lo Scrittore una sola volta in vita sua, ma quello fu un episodio che gli rimase impresso nella memoria e nell'essere per sempre. Era estate, il sole danzava nel cielo al ritmo dettato dall'umanità, dal suo caos e dal suo perpetuo ed eterno moto. Le nuvole si spostavano leggere per fargli spazio, rotolavano via nella volta celeste come palline di mercurio sul pavimento, nell'attesa di ricomporre la loro liquida unità. Edoardo, quel mattino, era stato svegliato proprio da un raggio di sole che si era avventurato attraverso i suoi grandi tendoni di velluto rosso, attraverso lo spazio della camera fino al suo letto, dove il giovane ragazzo giaceva inerte tra bianche lenzuola di seta. Accanto a lui una sagoma, più che una persona, sonnecchiava sommessamente nella sua spogliatezza. Il mattino, come la giovinezza per la vita, gli pareva il momento della giornata migliore, poiché tutto era ancora latente, tutto poteva ancora nascere, svilupparsi e culminare, prima di dover necessariamente morire. Era convinto infatti che tutto dovesse raggiungere un qualche apice prima di tramontare, proprio come il sole, che a mezzogiorno risplendeva alto e leggiadro nel terso cielo estivo. Così era la vita: una lenta e costante evoluzione, il naturale dispiegamento di quelle forze che nel mattino e nella giovinezza giacciono latenti, l'inesorabile progresso di tutto ciò che esista o che voglia esistere. In questo si sentiva profondamente ottimista e questo ottimismo d'altronde non poteva che essere confermato dalla vita facile e agiata che il denaro sapeva garantirgli. Tutto arrivava a lui nel momento in cui lo chiedeva più o meno esplicitamente. Il raggio di sole di quel mattino, però, non era stato in alcun modo richiesto da lui. Lo accettò quasi malvolentieri, ma, ricordandosi che era mattina, si alzò dal letto agilmente e con il suo solito sorriso compiaciuto camminò a passi puntuali e svelti verso la cucina.
Aprì il frigo e tirò fuori a casaccio qualche ingrediente per preparare una delle sue colazioni fantasiose per sé e per la sua amata. Inutile dire che ogni giorno le portava a letto pietanze diverse. Oggi si sentiva in vena di uova strapazzate e bacon, così accese il gas e fece scaldare la padella. Il ticchettio del gas gli ricordava ogni giorno quando da piccolo sua nonna, al mare, si alzava prima di lui apposta per preparargli la colazione. Ogni mattino lo voleva sorprendere con qualcosa di diverso, ma il gas era una costante di quei giorni. Lui rimaneva sveglio nel letto, ad occhi serrati, ascoltando silenzioso quel ticchettio che gli segnalava l'inizio dei lavori e l'imminente soddisfazione di fare colazione a letto con una delle sue persone preferite. Così, ogni mattino, Edoardo indulgeva nel premere il pulsante del gas e lo lasciava andare per poco più del tempo dovuto, giusto per non insospettire le persone che potevano sentirlo ma allo stesso tempo per godersi il riemergere di quegli eterni ricordi d'infanzia. Era così che ogni sua mattinata felice doveva cominciare, perché così nulla poteva andare storto. Nella routine e nella quotidianità ritrovava una certa sicurezza, nonostante tutto. Quel mattino, però, non era iniziato esattamente con il solito ticchettio del gas, bensì con quel raggio di sole che gli aveva aperto gli occhi e che lo aveva fatto pigramente alzare dal letto. Lui però non se ne rendeva conto al momento, preso com'era dal non far bruciare la colazione.
Bacon e uova stamattina?” risuonò una voce nella casa.
Sì, spero che non ti dispiaccia, sai che mi piace variare il cibo” rispose Edoardo con la sua roca voce mattutina.
E sai che apprezzo molto che tu mi prepari la colazione ogni giorno, quindi non ho di che lamentarmi” rispose la ragazza, che ora appariva sulla soglia della cucina con addosso la camicia bianca del suo uomo. “Io, da parte mia, ti tengo soddisfatto il resto della giornata, no?”
Sì, certo” rispose Edoardo con fare sbrigativo. Servì il tutto in due piatti separati ma perfettamente uguali e simmetrici. “Allora stamattina preferiamo mangiare in cucina?”
Come preferisce il cuoco, per me è indifferente. Tornare nel letto non dev'essere un grande sforzo.”
La cucina andrà bene stamattina” disse Edoardo prendendo in mano la situazione.
Consumarono il loro pasto lentamente, gustandosi ogni singolo boccone, proprio come facevano della loro vita insieme. Non passava un istante senza che loro potessero godere pienamente del sapore del momento. Ma non era tutto, loro infatti erano in grado di assaporare la vita comune insieme, simmetrici e complementari. I loro corpi nudi si intrecciavano di notte esattamente nello stesso modo in cui di giorno le loro anime si abbracciavano dall'inizio alla fine. Le giornate passavano tra una conversazione e l'altra, tra la routine e la variazione, tra il più rigoroso rispetto della tradizione e il più totale asservimento all'istante. Niente poteva strapparli l'uno dall'altra, o almeno niente aveva potuto farlo fino a quel momento.
Come mai stamattina ti sei alzato così rapidamente? E perché non sei ancora andato in bagno? In genere è una delle tue prerogative quando ti alzi. Non mi lamento della mancanza del bacio del buongiorno perché la mattinata è ancora lunga...”
Edoardo alzò lo sguardo, ma continuò a fissare il vuoto. Come poteva essersi dimenticato di andare in bagno? Nella sua memoria, effettivamente, non vi era traccia recente del candore del bagno di mattina. Senza dire nulla, abbandonò la colazione per recuperare quella parte della sua quotidianità a cui era tanto affezionato. Si diresse verso il bagno, si sciacquò la faccia e solo allora si rese conto che qualcosa in lui stava cambiando. Quel raggio di sole era riuscito a penetrare la sua mente, aveva lasciato un segno in lui e solo ora lo comprendeva. Era come se qualcuno, qualcosa si fosse insinuato all'interno della sua testa, qualcosa di assolutamente ignoto e alieno, che non riusciva a decifrare. Una parte di sé non gli rispondeva più.
Tutto bene?” una voce lo riportò alla realtà.
Sì, certamente! È mattina, tutto va bene, come sempre!” le rispose Edoardo sorridendo. “Oggi pensavo di uscire a fare un giro, sai, per sfruttare un po' il bel tempo. La primavera è alle porte.”
Va bene, ma non avevi da sbrigare quella faccenda con tuo padre?” chiese la ragazza, che nel frattempo era entrata in bagno per lavarsi. Si tolse la camicia ed entrò in doccia. Edoardo, invece, uscì dal bagno e si diresse verso la cucina, dove la sua colazione lo stava ancora aspettando. Si dimenticò completamente di risponderle, i suoi pensieri lo portavano altrove, mentre la sua routine lo faceva muovere come un automa attraverso le varie fasi della mattinata. Finì la colazione e ripulì la cucina, poi andò in camera e tirò i grossi ed eleganti tendoni che quel mattino avevano lasciato penetrare un raggio di luce primaverile. Edoardo, da parte sua, si chiedeva ancora come fosse possibile che il sole fosse riuscito ad entrare in camera, considerato lo spessore del tendaggio.
Sarà la primavera” disse fra sé e sé con fare sbrigativo, cercando di togliersi dalla mente quell'evento che ora appariva remoto ed insignificante. Si vestì e sistemò il letto, mentre la sua donna nel frattempo, terminata la doccia, lo aspettava sulla soglia, in cerca ancora di una risposta alla sua domanda.
Allora? Non dovevi sentire tuo padre?” chiese lei con tono interrogativo.
No, alla fine avevano sistemato tutto lui e il suo socio. Sai bene che io ho poca voce in capitolo” rispose Edoardo immerso ancora nella sua quotidianità.
Sei sicuro che vada tutto bene?” chiese la ragazza esitando, “Mi pari distratto.”
Sì, sì, non preoccuparti. Stavo solo pensando che oggi è proprio una bella giornata! Dovremmo assolutamente uscire a fare un giro. La città è ancora più bella quando c'è bel tempo, turisti a parte. Che ne dici?”
Certo! È bello, a volte, abbandonarsi alle circostanze” rispose la ragazza entusiasta, invitando Edoardo a filosofeggiare un po' con lei. Era una delle loro attività preferite quella di partire da un esempio specifico e, induttivamente, ricavarne delle leggi generali, dei sistemi più grandi, che potessero comprendere tutte le situazioni nella loro singolarità. Qua e là le loro vite si fermavano per dare spazio ai loro pensieri, allo svilupparsi di teorie più o meno fondate sulle diverse sfaccettature dell'esistenza umana. E in questo, come nel resto, erano perfettamente identici, come due gocce d'acqua che vanno di pari passo sul vetro di una macchina, vicini, paralleli, a volte distinti, altre inseparabili.
Sì, hai ragione. Mi chiedo solo se abbandonarsi alle circostanze non significhi essere deboli e volubili. In fin dei conti, sostanzialmente ti adatti a ciò che sta al di fuori di te, probabilmente perché non hai il coraggio di opporti ad esso o non sei abbastanza forte da dichiarare l'indipendenza da tutto ciò” argomentò Edoardo. La sua testa era sì vuota da particolari impegni e doveri che opprimevano il resto della società, ma d'altra parte nessuno poteva davvero sostenere che non la utilizzasse spesso, tra le varie speculazioni filosofiche e le variazioni a cui era tanto affezionato.
Concordo, sì, è raro trovare qualcuno che nuoti contro corrente.”
Le parole caddero nel vuoto. Il silenzio prese il sopravvento in quell'appartamento ben arredato di centro città, mentre fuori il sole sovrastava masse di persone che ridevano, mangiavano, fotografavano, camminavano, le une accanto alle altre, senza esitazione. Lo stesso silenzio dominava generalmente la stanza adiacente, dove lo Scrittore sedeva ore a meditare e a scrivere senza sosta. In tutti gli anni passati in quell'appartamento, Edoardo non aveva mai sentito una sola parola, una sola risata provenire da quell'uomo di mezza età. La sua persona, come la sua storia, era avvolta dal mistero. Non era dato sapere da dove venisse, se fosse originario di quella città o di quell'altra e in fondo questo contava poco. A volte si arrivava a pensare che avesse perso la parola per qualche trauma, o che magari non credesse nell'uso della voce per una sorta di particolare interpretazione della vita. Magari la sua esistenza consisteva nell'aver a che fare con le parole ma mai dar loro voce per evitare che perdessero la loro magia. Tutte queste supposizioni altro non erano che, appunto, voci. La gente non poteva che presupporre, di fronte all'ignoto.
Quel giorno, tuttavia, lo Scrittore era stato attratto dal bel tempo verso l'esterno e aveva quindi forse deciso di andare al parco per osservare la vita evolversi davanti ai suoi occhi. Fatto sta che Edoardo e la sua ragazza lo incontrarono per caso sul pianerottolo davanti ai loro due ingressi, loro felici ed entusiasti della vita, lui semplicemente privo di una particolare disposizione d'animo. I due giovani si avvicinarono per salutarlo con aria affabile.
Buongiorno! Ha visto che splendida giornata?” chiese Edoardo con un sorriso a trentadue denti. La ragazza era avvolta dal suo forte braccio sicuro. Lo Scrittore alzò lo sguardo, fissò Edoardo con i suoi penetranti occhi neri, poi socchiuse lentamente le palpebre e abbassò leggermente la testa in segno di rispetto. Tornato poi nella posizione originaria, si diresse verso le scale e scese lentamente verso il piano terra, come sollevato da terra, come se non toccasse davvero il suolo. I due giovani rimasero impietriti davanti a tale presenza, le bocche socchiuse e le espressioni confuse. La ragazza poi si voltò verso Edoardo con sguardo interrogativo, ma notò che il suo viso era improvvisamente tornato quello che aveva mostrato a colazione quando lei gli aveva ricordato che non era andato in bagno com'era suo solito. Lo sguardo cadeva nel vuoto, gli occhi erano vitrei e privi di movimento.
Ehi, tutto a posto?” chiese lei.
Sì, tranquilla! Andiamo a fare un giro, quindi?” rispose Edoardo dopo essersi ripreso.
Va bene, sì!”
Così i due giovani si avviarono verso l'esterno, dove la primavera stava finalmente fiorendo. Si respirava gioia e voglia di vivere nell'aria. Edoardo, tuttavia, continuava a cercare di soffocare quel sentimento di tristezza che lo sguardo dello Scrittore aveva risvegliato in lui. Tentava ripetutamente di spingerlo verso la zona più buia della sua psiche, ma questo continuava a riaffiorare qua e là.
Edoardo?” lo interpellò la ragazza.
Sì, dimmi!” rispose Edoardo.
Non hai sentito nulla di quello che ti ho detto, scusa? È da cinque minuti che sto parlando... Oggi sei decisamente molto più distratto del solito. Comunque dicevo che mia madre, per il matrimonio, pensava di...”. Il matrimonio. Sua madre. Nulla lo tangeva, fintanto che non riusciva a capire che cosa fosse questa forza dentro di lui che cercava di manifestarsi così strenuamente. La sua origine era chiara, ma più cercava di analizzarlo meno ne capiva. L'unica possibilità era lasciarsene sopraffare, abbandonarsi in toto a questa vaga emozione totalizzante. Edoardo, però, non era quel genere di persona che si lasciava sommergere dall'esterno. Pensava di trovare in sé tutto ciò di cui potesse avere bisogno, quindi l'esterno per lui altro non era che l'altro, l'ignoto, l'alieno, certamente non una fonte di energia. Le sue risorse erano le uniche che potessero effettivamente servirgli, secondo il suo punto di vista, per organizzare la sua vita in modo soddisfacente. Ma allora perché era costantemente insoddisfatto? Perché nulla gli bastava più? Era davvero lui a non sapersi accontentare di ciò che aveva, a dare per scontato e svalutare ogni singolo gesto ed oggetto che gli si parasse davanti o erano le circostanze ad impedirgli di godere della ricchezza di esperienze che egli si procurava? Nella sua mente questi interrogativi schiamazzavano incessantemente. Solamente lo Scrittore, pensava, poteva chiarirgli la sua situazione. Questa era la conclusione a cui giunse e ne fu piuttosto stranito, considerando che non conosceva assolutamente questa persona. Come poteva lui dargli delle risposte su se stesso che egli non sapeva trovare?
La mattinata procedette senza intoppi e piuttosto rapidamente, tra una chiacchierata di circostanza con amici di vecchia data e un giro al parco, tra i peschi in fiore e gli adolescenti che scoprivano per la prima volta che la vita non è così facile come l'infanzia ci fa credere. Edoardo, da parte sua, era riuscito ad abbandonarsi al piacere della mattinata senza troppa fatica, nonostante l'urgenza delle domande da porre allo Scrittore continuasse a martellarlo. Pranzarono in un costoso ristorante in centro, uno dei pochi che non avevano ancora avuto occasione di testare, e se ne uscirono con la pancia piena e soddisfatta. Dopo pranzo improvvisarono un pomeriggio vagando per il centro senza alcuna meta specifica. La temperatura era decisamente primaverile, a volte ad Edoardo parve di essere addirittura in estate, vedendo il cielo terso e il sole alto nel cielo. La sera, tuttavia, si avvicinava inesorabile, con il suo colore rossastro e la sua intrinseca malinconia.
Trovo che il tramonto sia il momento più intenso e drammatico della giornata” disse a bassa voce Edoardo. “È quando le tue energie iniziano piano piano ad assopirsi e passi improvvisamente alla vita contemplativa. Nessuna azione può essere portata a termine decentemente dopo il tramonto, perché si diventa troppo emotivi e sensibili per fare. C'è solo spazio per pensare e riflettere, nient'altro è concesso. Almeno a me.”
Ma proprio tu lo dici? Ma se due volte a settimana partecipiamo a delle feste dei nostri amici?” gli rispose la ragazza al suo fianco.
Beh, le feste servono solo per riempire i silenzi imbarazzanti” concluse Edoardo, mentre contemplava, dalla panchina, i giardini che ora iniziavano a spopolarsi per lasciare spazio alle tenebre. Il silenzio avvolgeva lentamente le urla dei bambini fino a soffocarle. Attraverso gli occhi di Edoardo, il giorno stava diventando sera, la giovinezza età adulta e la sua varia ma sicura routine mattutina un insieme di confusi gesti caotici senza alcun fine evidente.
Vabbeh, andiamo a casa ora, dobbiamo preparare la cena” disse la ragazza. “Potrei azzardare della pizza, che dici?”
Come preferisci” disse Edoardo assente.
Non appena arrivarono sul loro pianerottolo, Edoardo invitò la ragazza ad entrare in casa e ad ordinare la pizza. Aveva infatti notato che la porta d'ingresso dell'appartamento dello Scrittore era socchiusa ed era pertanto curioso di rivedere quello stesso uomo che l'aveva precedentemente lasciato perplesso. Bussò piano alla porta, attendendo una risposta. Sbirciando dalla fessura, tuttavia, intravide una lettera riposta su un tavolino accanto all'ingresso. Aprì leggermente la porta, tanto quanto basta per capire che quella lettera, sorprendentemente, era indirizzata a lui. “Ad Edoardo, per piacere leggila in solitudine, nessun altro potrebbe comprendere”. Il ragazzo fu ovviamente incuriosito e la prese, ma non ebbe il coraggio di leggerla lì su due piedi. Sentì che in qualche modo quella lettera richiedeva più tempo ed attenzione. La cacciò frettolosamente in tasca e tornò nel suo appartamento.
Ho appena telefonato, le nostre pizze saranno pronte tra un quarto d'ora, passi tu a prenderle? È la solita pizzeria, quella in fondo alla strada!” intonò una voce dalla cucina.
Certamente. Già che devo uscire vado subito così sbrigo un attimo delle faccende, ti fa niente?” chiese Edoardo, senza aspettarsi una vera risposta.
Ehm sì, okay. Ma cosa devi fare?”
Non preoccuparti, tornerò con le nostre pizze non appena saranno pronte” e con queste parole uscì chiudendo la porta dietro di sé. Con le mani in tasca, scese le scale in tutta fretta e si diresse verso l'esterno, possibilmente in un posto appartato, come i giardini di sera. Per tutto il tragitto continuò a tenere stretta in mano la lettera nella sua tasca, un po' per essere sicuro di non perderla, un po' perché era troppo curioso di leggerla. Arrivato alla sua solita panchina, si sedette e tirò fuori la lettera, che così recitava.

Caro Edoardo,
Sono consapevole di non far parte del tuo grande cerchio di conoscenze e amicizie di dubbio senso, ma alla fine di questa lettera capirai perché io mi sia permesso di scriverti in tono confidenziale queste righe e spero che così avrò assolto, una volta per tutte, al mio compito. È ben strano leggere di una persona con cui non ci si è mai scambiati parole di persona, ma ti invito ad accogliere a braccia aperte questi neri caratteri su sfondo bianco. Devi sapere che vivo da anni nell'appartamento accanto al tuo e tutto questo tempo, in un certo senso, mi permette di fare le seguenti considerazioni sulla tua vita.

La gioventù è ben lontana da te, è tempo che tu te ne accorga. Continui a vivere nella tua gabbia d'oro con una persona con cui pensi di condividere la tua vita, ma tutto ciò che fai è concederle dello spazio e dell'ossigeno nel tuo lussuoso appartamento da borghese. Tra di voi manca l'intesa spirituale che proclami con tanta certezza, nulla di ciò che ritieni sia veritiero rispecchia effettivamente la realtà. Vivere non è facile, è ora di aprire gli occhi. Il denaro ti deriva immeritatamente da un lavoro che non potrebbe in alcun modo essere prodotto tuo, come una sorta di zampillo indesiderato che annaffia il tuo terreno. Tu lo accetti passivamente, non opponi resistenza; come ci si può, d'altronde, mettere contro ciò che pare fluire naturalmente? Perché contrastare l'automatismo? È questo un sintomo di grande debolezza. La gioventù, come dicevo, sta lasciando spazio ai gelidi venti dell'età adulta, che, prima che tu riesca a comprenderlo, raseranno a zero il tuo tiepido riparo familiare per poi spogliarti dei tuoi vestiti borghesi. È il conflitto primordiale tra l'alfa e l'omega, tra l'uomo e il lupo, tra l'età dell'innocenza e l'età dell'esperienza. Presto ti guarderai allo specchio e desidererai ritornare bambino. Qualcosa in te sta iniziando a crollare e questo è proprio un sintomo della malattia dell'età adulta. Quel raggio di sole, la primavera, il mattino, la routine, nulla è stato per caso, nemmeno il fortuito incontro sul pianerottolo che collega i nostri due appartamenti. Neppure questa lettera, come vedi, è casuale. Cerchi continuamente un vago rinnovamento, della vana varietà, nella speranza di ricostruire quella sicurezza fisica e spirituale che vedi cadere a pezzi ogni giorno. Il tuo viso, la tua identità, il tuo carattere si sta sfaldando. È tempo di abbandonare questo attaccamento ossessivo ai propri principi per adagiarsi placidamente sul fondo di una barca che è in rotta di collimazione. Il capitano, in fondo, si dice debba sempre morire con la propria nave.

Questa non è una lettera di condanna, il mio intento e compito è ben altro. Sono una persona riservata, schiva, che alle patetiche chiacchiere d'oggigiorno preferisce gli antichi e solenni caratteri impressi nella carta. L'inchiostro di sua stessa natura ha la capacità di restare laddove si è posato, contrariamente alle nostre parole. Attraverso la scrittura, questa splendida arte, cerchiamo di dare sostanza eterna a ciò che altrimenti verrebbe portato via dal vento del cambiamento. Come intuirai, noi due siamo simili, in questo aspetto: tu cerchi di far attraccare la tua nave in un porto sicuro, io mi sforzo di dare un carattere meno patetico a tutto ciò che viene smarrito ogni giorno. Questo è il mio compito, non quello di raccontare della mia vita, ma di plasmare il mondo attraverso la mia penna, di renderlo uniforme, sensato e coerente. Non esiste compito più umano, in questo senso. Proprio per questo, rinuncio al mio stesso nome di battesimo, da tempo smarrito, in favore invece di ciò che faccio. Sono lo Scrittore, come voi d'altronde mi chiamate già da tempo, e per questo vi ringrazio. Per una volta, noto che l'ignoto ha assunto una forma a lui consona. Dopo essermi presentato, posso finalmente portare a termine il mio compito.

Quella che tu consideri la tua fidanzata altro non è che un macabro tentativo di riflettere te stesso. In lei vorresti sempre contemplare la tua stessa immagine perché non saresti in grado di accettare null'altro. Io stesso sono una tua proiezione, una figura indissolubilmente legata al tuo modo di vedere e concepire la realtà. Lei soddisfa la tua ambizione, il tuo desiderio di fama, di gloria, la tua necessità di indirizzare verso qualcosa di vago e futile il denaro che ti ritrovi in tasca. Io, d'altra parte, non posso esimermi dal fungere, per questa prima e ultima volta, da figura autoritaria e paterna. Siamo simili, come ti ho detto, ma tra di noi ci sono differenze sostanziali. Lo Scrittore non è altro che un raggio di sole primaverile che si insinua furtivamente tra i tuoi fitti tendoni nella tua pacata e vacua mattinata; un pensiero persistente che ti martella, come un trapano che persevera nel far breccia in un solido muro di mattoni. In altre parole, incarno quell'idea che stai accarezzando da tempo. È giunta l'ora di ascoltare le voci nella tua testa, Edoardo.

Tuo per sempre,
lo Scrittore

Il ragazzo alzò lo sguardo al cielo, si accasciò a terra, nulla poteva ormai aiutarlo, era troppo tardi. Gli alberi intorno a lui iniziarono a ripiegarsi, ad opprimerlo con le loro immense fronde; le case in lontananza si gonfiavano, raggiungevano il limite e poi esplodevano; il terreno sotto i suoi piedi era inconsistente, malleabile, insicuro; il suo corpo non gli rispondeva più, il respiro affannoso, gli occhi gonfi di lacrime, il cuore non riusciva a contrastare la gabbia all'interno della quale era stato stipato. Improvvisamente, tutto crollò. La realtà l'aveva inghiottito.
Al suo risveglio, Edoardo ebbe pochi minuti. Giusto lo stretto necessario per comprendere che era davvero successo, la vita l'aveva davvero inghiottito, il peso che si sentiva sul petto esisteva davvero, niente era stato per caso. Gli mancavano le forze per vivere. Il giorno successivo, tutti i giornali riportavano l'accaduto, spacciandolo per un decesso per cause naturali. Ancora una volta, la voce trionfava sulla parola.

Ragazzo di 24 anni trovato morto in un parco in città. I medici legali non hanno trovato nessuna ferita mortale, perciò si pensa a cause naturali. Il ragazzo viveva in un appartamento da solo, finanziato dal padre poiché impossibilitato a lavorare. Un'altra vittima dei nostri tempi.”

lunedì 7 aprile 2014

I miei scatti - il Giudizio Universale

Sin da quando ho iniziato a sviluppare questa passione per la fotografia, ho pensato che potesse essere affascinante collegare un particolare scatto ad un particolare pensiero trovato in un libro – o a libri interi, in alcuni casi. Ho deciso di riportarne alcuni qui.


















1. Il Giudizio Universale
« Dieu n'est pas nécessaire pour créer la culpabilité, ni punir. Nos semblables y suffisent, aidés par nous-mêmes. [...] Je vais vous dire un grand secret, mon cher. N'attendez pas le Jugement dernier. Il a lieu tous les jours. »
« Dio non è necessario per creare la colpabilità né per punire. I nostri simili bastano per questo, aiutati da noi stessi. [...] Le dirò un gran segreto, mio caro. Non aspetti il Giudizio Universale. Ha luogo ogni giorno. »
[Albert Camus, "La Chute"]

Albert Camus, scrittore francese della metà del secolo scorso, offre in questo interessantissimo romanzo – o monologo? – dal titolo La Caduta (1956) una visione della modernità che è tanto angosciante quanto veritiera. Egli sostiene, e con lui Jean-Paul Sartre in particolare nella sua opera teatrale Huis clos (A porte chiuse, 1944), che l'uomo moderno non possa esimersi dal giudicare costantemente tutto ciò che lo circonda, di fatto rendendo quel famoso Giudizio Universale tanto temuto nella teologia cristiana un affare quotidiano. Come scrive Sartre nell'opera sopraccitata, 
« L'enfer, c'est les Autres. »
« L'inferno sono gli Altri. »
L'inferno che una volta soleva essere collocato in basso, sotto terra, luogo macabro e dominato dalle tenebre, pare ora affiorare in superficie fino a sostituirsi alla vita di tutti i giorni. E questo inferno consiste precisamente nel fatto che l'uomo moderno non possa fare a meno di essere allo stesso tempo vittima e carnefice della violenza psicologica che, da una parte, subisce ma che dall'altra infligge agli altri. Quando egli giudica, sente, pensa, egli non può esimersi al tempo stesso dall'utilizzare quegli stessi strumenti che gli altri gli hanno dato, asservendosi di fatto all'immagine e all'opinione che gli altri hanno di lui. L'uomo moderno, pertanto, è in totale dipendenza dagli altri, rendendo questo giudizio una caratteristica imprescindibile di sé stesso. Questo non significa, tuttavia, che non esista alcun modo di riscattarsi da ciò, e Camus e Sartre, come fa notare uno dei personaggi, un professore, nel film d'animazione Waking Life (Richard Linklater, 2001), si fanno portavoce da una parte di una filosofia della crisi, l'esistenzialismo, ma dall'altra intendono allo stesso tempo portare un messaggio positivo, quasi di speranza, all'interno dell'inferno della modernità. Entrambi, infatti, prevedono una sorta di via di salvezza, un cammino verso il miglioramento della società a loro contemporanea, prendendo le mosse da un engagement, un mettersi in gioco sul piano pratico dell'intellettuale o dell'uomo moderno in genere.

La mia fotografia, scattata in Piazza San Pietro (Città del Vaticano), intendeva farsi carico di questo messaggio, e cioè che il Giudizio Universale, oggi, accade ogni giorno senza che noi ce ne accorgiamo, ma paradossalmente continuiamo a proiettarlo altrove, verso una giuria quasi divina, che ci guarda dall'alto mentre il cielo si fa interprete del momento fondamentale che esso deve rappresentare per ognuno di noi. Questo scatto, in altre parole, rappresenta il Giudizio Universale nell'immaginario comune, mentre la citazione che ho voluto proporre e spiegare intende invece porre l'attenzione sul contrasto tra questo e ciò che gli esistenzialisti sostenevano.

About Golconda

Sono un ragazzo appassionato di arte, letteratura e cultura. Studio Germanistica in Inghilterra (giuro che ho le mie ragioni per farlo) e nel tempo libero mi diletto con la fotografia e la scrittura. Apprezzo molto l'arte in sé e questo è il motivo principale che mi spinge ad aprire un blog. Ultimamente, poi, sento il bisogno di scrivere e divulgare.

Adoro il tedesco e tutto ciò che ha a che fare con la sua storia, la sua cultura, la sua filosofia, la sua letteratura. Adoro anche l'inglese, motivo, tra gli altri, per cui studio in Inghilterra. Ho studiato per diversi anni anche il francese e ho avuto modo di studiare la splendida letteratura francese. Ovviamente trovo anche l'italiano, lingua in cui scrivo di solito, una lingua estremamente affascinante.

Trovo che la scrittura e la fotografia siano due dei mezzi attraverso i quali io posso esprimere me stesso, proiettando al di fuori di me ciò che più mi appartiene. Questo blog nasce dalla speranza di stimolare le persone e di trasmettere le mie passioni e i miei interessi.

Il nome di questo blog, Golconda, da una parte si rifà al dipinto di René Magritte del 1953 che rappresenta una pioggia di uomini con vestiti borghesi, un'immagine che trovo interessante in quanto mette in evidenza la perdita d'individualità che il Capitalismo e la società odierna hanno portato con sé. D'altra parte, però, si rifà anche a Golconda, una città che soleva essere un centro culturale ed economico nel Medioevo ma che è caduta in rovina a partire dal sedicesimo/diciassettesimo secolo. Ai tempi era rinomata in particolar modo per via delle sue miniere diamantifere, sinonimo di grande ricchezza e prestigio per gli Europei dell'epoca.

Questo blog nasce quindi dall'esigenza di sfruttare l'incredibile quantità di materiale presente nella Weltliteratur, come la chiamava Goethe, (letteratura mondiale) poiché ritengo che sia proprio in queste ricche rovine che si può sperare di ricostruire noi stessi in un'epoca in cui gli uomini piovono dal cielo nello stesso identico modo. La cultura forse non si mangerà, ma perlomeno ci permette di crescere e migliorarci. Questo blog ne vuole essere la dimostrazione pratica.