domenica 14 febbraio 2016

Σίσυφος (Sísyphos)

Ho deciso di dedicarmi ad uno dei miti che mi sono più cari, quello di Sisifo, condannato da Zeus a rotolare eternamente su per un monte un masso senza mai riuscirci e dovendo quindi ogni volta ritentare pur conoscendo il proprio destino. Ecco quindi un monologo sulla scia de 'Il fabbro', 'Alba', e 'Nuvole'.

Franz von Stuck, 'Sisifo' (1920)

Per tutta l’eternità spingo questo greve masso su per una salita che non si mitigherà mai. Una salita che mi guarderà indispettita ad ogni mio tentativo, che si farà beffa di me e del mio eterno movimento costante quanto futile. I muscoli si sforzano, si coordinano, cooperano affinché io possa nuovamente fallire. Ad ogni tentativo si fanno più forti, le dita dei piedi si stortano sempre più, si adattano in continuazione a ciò che viene loro richiesto, si piegano all’arbitrarietà di circostanze assurde. Le mie mani si fanno dure, callose, robuste; si appropriano della forma di questo masso, lo sfiorano, rivolgono la loro rinnovata energia verso un oggetto che è ormai diventato parte di loro. Lontani sono i giorni in cui esse, pavide, si avvicinavano a questo freddo pezzo di pietra per la prima volta. Lontana è la paura di non conoscerlo, di esplorare l’ignoto, l’alieno; altrettanto lontano è il timore di non potersi confrontare con esso. La vicinanza non mi atterrisce. Ho levigato questo masso ogni minuto della mia vita, l’ho fatto mio, mi sono appropriato delle sue fattezze, le ho in parte adattate a me. Questo masso è lo specchio del mio destino assurdo, dell’eterno ritorno di quelle stesse azioni futili, di quegli sforzi sovrumani, di quegli spazi soffocanti. Traggo calore da questo pezzo di pietra, mi impossesso dell’energia che posso derivarne. La mia esistenza è diventata una simbiosi con l’altro. Io lo levigo, lo rendo umano. Esso mi prepara ad un nuovo fallimento, ad un nuovo ripetersi.
In fondo, questo è il mio posto. Nella terra ai miei piedi vedo la concretizzazione delle mie erculee fatiche, conseguenze e al contempo cause della mia fallimentare impresa. Impronte diverse ma in fondo fin troppo simili, dominate da un caos che sa riproporsi anche nello scontare eternamente la stessa pena. Il sudore gronda dalla mia fronte e bagna il mio corpo come sangue che fuoriesce lento e costante da una ferita di color carminio. Sangue che abbandona il mio corpo a contatto con l’aspra concretezza di questa pietra e questa terra, che contribuisce a lubrificare questo eterno dolore, questa inscontabile condanna. Sì, questo è il mio posto, davanti a questa fredda terra, dietro a questo enorme masso che si fa beffa della mia forza fin troppo umana. Io sono la lotta stessa, la lotta contro un destino più grande di me, un destino che grava sulle mie spalle senza che io abbia la possibilità di scrollarmelo di dosso. Soffro, mi ribello, spingo con più forza, fallisco, soffro nuovamente. Eppure, potrei giurare di essere stato felice nel mio atto di ribellione. A questo mi aggrappo, questo mi incoraggia a tentare nuovamente, con rinnovato vigore, un’impresa intrinsecamente fallimentare. Per un attimo, una brezza piacevole rinfresca la mia fronte sudata e i miei muscoli tesi. Ma non c’è tempo per questo, no, bisogna continuare a spingere.


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Stavolta, ho pensato di lasciare spazio a qualche considerazione personale e letteraria. Infatti, la mia passione per Sisifo e il suo destino assurdo è nata principalmente scoprendo e, successivamente, leggendo un saggio del grande scrittore francese Albert Camus. Egli, infatti, spiega ne Il mito di Sisifo come la condanna di Sisifo sia intrinsecamente assurda: si ritrova infatti in un mondo senza moto reale, che continua a riproporsi nello stesso modo all’osservatore e soggetto che ne fa parte, ossia Sisifo stesso. Questo mondo assurdo è esattamente lo stesso in cui viviamo noi, secondo la Weltanschauung esistenzialista, un mondo scevro di qualsivoglia significato, privo di una vera e propria logica. Non è un caso che l’esistenzialismo sia nato come risposta al secondo dopoguerra e alla devastazione materiale e spirituale che ha portato con sé.

Tuttavia, l’esistenzialismo è lontano dall’essere una filosofia della crisi che si limita a prendere atto di essa senza proporre un messaggio positivo. Scrittori come Jean-Paul Sartre, Albert Camus e Simone de Beauvoir, infatti, sono famosi per il loro impegno sociale e civile. Questo è sintomo del fatto che questa triade non circoscriva la propria opera ad una élite di intellettuali, bensì cerchi di rivolgersi ad un vasto pubblico, almeno attraverso la propria narrativa. L’obiettivo, chiaramente, è quello di divulgare, di arrivare alle persone, alla società – un obiettivo che condivido anch’io che scrivo questo blog, seppur in modo molto più modesto.

Alla luce di questo attivisimo sociale, è possibile quindi passare alla seconda parte dell’analisi di Camus. Egli, di fronte ad un mito tanto assurdo e apparentemente crudele, elabora una risposta positiva, suggerendo che Sisifo, in realtà, sia felice. “La lotta stessa verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo”, dice Camus, estendendo quindi l’oscuro mondo del mito greco oltre i confini dell’assurdità e della crudeltà dell’esistenza fino a raggiungere il paradiso della felicità. Questo si concretizza quando un uomo, di fronte ad un destino più grande di lui, si ribella, lotta, si indigna, non accetta la propria sorte: in quel momento, in quell’atto, egli si erige a capitano della propria nave, si mette al timone e prende il controllo di un’esistenza priva di logica. E questa logica, non c’è bisogno di dirlo, viene a coincidere con quella che l’uomo decide di attribuirle: l’esistenza è assurda solo nella misura in cui l’uomo non le ascrive un proprio senso, un proprio significato; e nel fare ciò, egli si ribella ad un destino crudele e ad un mondo indifferente, assumendo pertanto una dimensione individuale improntata alla lotta.

Per scoprire qualcosa in più sull'esistenzialismo, invito alla lettura di questo vecchio post su questo blog.