mercoledì 20 luglio 2016

I miei Autori: Hermann Hesse

Hermann Hesse nasce il 2 luglio 1877 a Calw, in Baden-Württemberg, da famiglia pietista di origine sveva e baltica. Verso la fine della sua carriera, nel 1946, fu insignito del premio Nobel per la letteratura. Ciononostante, si tratta di un autore a cui molto spesso la germanistica di stampo classicista non riconosce piena dignità letteraria, probabilmente in vista del carattere spesso autobiografico e adolescenziale dei suoi testi.

Hesse pone infatti al centro della sua opera la ricerca di sé. Questo è visibile non soltanto in romanzi per così dire spirituali come Siddharta, ma è percepibile in diverse misure in tutta la sua opera: protagonisti delle sue storie sono spesso ragazzini alla ricerca del loro equilibrio e di un sereno stare al mondo. Il superamento delle crisi esistenziali è una parte fondamentale del percorso che viene sviluppato all’interno dell’arco narrativo, tant’è vero che la sua opera più ambiziosa, Das Glasperlenspiel (in italiano, Il giuoco delle perle di vetro) del 1943, viene spesso additata, tra tante altre, come un Bildungsroman (letteralmente, ‘romanzo di formazione’) o una versione alterata di esso.

Il suo stile tocca molto spesso toni lirici e personali che sanno far breccia nel lettore e che sono in grado di comunicare con la sua parte più umana e spirituale. Hesse attinge spesso ad una sorta di versione migliorata di noi stessi, credendo di fatto che ci sia un io migliore all’interno di ognuno di noi che aspetta di schiudersi ed aprirsi al mondo. È in questa poeticità, in particolare contrasto con l’orrore della guerra e con la crudeltà del mondo, che Hesse, a mio avviso, acquista particolare rilievo. All’interminabile e sempre migliorabile ricerca di sé, di un io migliore, infatti, questo autore sa attribuire una funzione cardine in ogni individuo, per ricordarci in fondo che non siamo solamente una persona, una maschera, ma che siamo in continuo divenire, proprio come il fiume in Siddharta. La nostra evoluzione non si può e non si deve arrestare mai, dobbiamo essere, come suggerisce in questo romanzo, dei ‘Suchende’, dei cercatori, instancabili ed orientati verso la nostra evoluzione.

In un’opera successiva, Der Steppenwolf (in italiano, Il lupo della steppa) del 1927, Hesse si dedica ad un protagonista per lui piuttosto atipico: si tratta, infatti, di un uomo di mezza età che ha deciso di suicidarsi il giorno del suo cinquantesimo compleanno. Per quanto i tratti autobiografici siano evidenti anche in questo Harry Haller, le cui iniziali richiamano in modo lampante quelle dell’autore, il lettore si trova tuttavia davanti un protagonista che ha già compiuto un percorso e che ha già raggiunto determinate conclusioni circa la sua vita. Queste conclusioni vengono riassunte in un ‘Traktat’ (generalmente tradotto in italiano come ‘dissertazione’) che tocca in particolar modo il rapporto problematico con la borghesia e la conflittualità presente in Harry: egli, infatti, presenta due personalità in perenne lotta tra di loro, ossia l’uomo e il lupo. Mentre l’uno lo spinge alla civiltà e lo rende di fatto parte integrante della borghesia, dell’ordine civile e del decoro che domina questo strato sociale, l’altro gli impedisce di accettarlo totalmente, lo incoraggia effetivamente a rinnegare questa parte di sé e mette a nudo tutte le ipocrisie che sono parte fondante di una classe sociale orientata al profitto, a dei dubbi valori e ad una vita ordinaria e catalogata. Il romanzo, quindi, nonostante la sua atipicità, rappresenta di fatto la risoluzione di una crisi ed è quindi in linea con la poetica hessiana.
Un frame dal film Steppenwolf di Fred Haines (1974)

Premessa fondamentale del superamento di una crisi in Hesse, come nella vita, è il confronto con l’Altro. Spesso, infatti, questo autore tedesco propone due poli in contrasto tra di loro, la sintesi dei quali genera un senso di serenità e permette al protagonista, in particolar modo, di raggiungere un io migliore, più alto, per quanto brevemente. Questo, cionondimeno, non significa che Hesse abbia scritto unicamente romanzi dal finale positivo ed ottimista, anzi, spesso i finali sono amari o finiscono in tragedia; tuttavia all’interno della narrazione è sempre presente un momento positivo generato precisamente dall'incontro-scontro di due forze opposte: in Der Steppenwolf queste sono racchiuse nel protagonista stesso, ma più tipicamente queste vengono incorporate in due distinti personaggi, come in Demian possono esserlo Emil Sinclair e Max Demian, o in Unterm Rad (in italiano, Sotto la ruota) Hermann Heilner e Hans Giebenrath, o ancora, in modo più lampante, in Narziß und Goldmund (in italiano, Narciso e Boccadoro) i due personaggi eponimi. La polarità tipica di Hesse è quindi premessa fondamentale del percorso verso un io migliore.

Richard Ziegler, 'Hermann Hesse' (1950)
© Richard-Ziegler-Stiftung Calw
Un discorso poi spesso trasversale è quello della psicanalisi, in particolare quella di Carl Gustav Jung. Con la scoperta di questa, infatti, Hesse fu in grado di ascrivere uno spessore scientifico a determinati rapporti all’interno della sua opera. Primo esperimento in questo campo è quello di Demian, del 1919, ma il suo interesse per e studio della psicanalisi non scemerà nemmeno negli ultimi anni in cui è la guerra a prendere il sopravvento. Dalla remota Svizzera, così simbolicamente lontana dalle grida sofferenti dei soldati e dalla devastazione subita e perpetrata dalla Germania nazista, Hesse compirà il suo testamento spirituale e letterario condensando in un Bildungsroman di qualche centinaio di pagine un mondo pacifico improntato alla cultura e all’erudizione chiamato Castalia. È in questa pace e in questo otium litteratum che immaginiamo il vecchio Hermann negli ultimi anni della sua vita – ed è precisamente in questi ultimi anni che il mondo si sdebita del suo contributo alla germanistica e alla letteratura europea e mondiale attribuendogli il premio Nobel per la letteratura.


Ciò che più mi attrae di Hermann Hesse è il suo saper essere leggero, spirituale, a tratti ottimista, ma al contempo anche caustico e critico del mondo moderno. Al suo pacifico sguardo penetrante il mondo non può sottrarsi, per quanto possa celare dietro alle sue tante illusioni delle atrocità inenarrabili. Queste divengono parte della narrazione nell’oeuvre di Hesse, il quale addita in lontananza ‘die kalte Welt der Anderen’ (“il freddo mondo degli Altri”), come lo chiama in Demian, ma al tempo stesso ci accompagna verso un percorso tortuoso e accidentato che ha per meta la ricerca stessa del proprio io e del proprio spazio all’interno di un mondo freddo ed indifferente, se non crudele. Una ricerca – e su questo convengo con il caro Hermann – che è tanto astrusa quanto essenziale al nostro vivere quotidiano.

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